"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)
mercoledì 22 febbraio 2017
UN ESPONENTE DEL CIRCOLO BOLIVARIANO “ANTONIO GRAMSCI” DI CARACAS A CASERTA, IN UNA INIZIATIVA ORGANIZZATA DA USB E SCETAT
Quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della morte di
Antonio Gramsci, e già la borghesia, che con la sua veste fascista lo uccise
nel 1937, oggi si dà da fare per falsificarne l’eredità, magari in veste pop,
come ha fatto il quotidiano La Repubblica
nel suo inserto Robinson un paio di
giorni fa, sfarfallando con i suoi “concetti chiave” (“egemonia”,
“intellettuale collettivo” e via cantando) e portando in campo tutti gli
svariati nomi di tutti quelli che da cattedre e istituzioni varie si presentano
come i reali interpreti e conservatori di ciò che Gramsci ha detto e fatto). A
Caracas il Circolo Bolivariano Antonio Gramsci, tra le sue varie attività, si
sta occupando di insegnare alle masse popolari del Venezuela a farsi la pasta
con le macchinette importate dall’Italia, perché le aziende italiane
esportatrici di pasta nel paese stanno speculando sul prodotto e partecipano a
pieno titolo alla guerra economica che la borghesia imperialista, prima fra
tutti quella statunitense, conduce contro la Rivoluzione Bolivariana del
Venezuela. Questo è un modo vero per attuare il pensiero di Gramsci, che ha
dato preziosi insegnamenti su come le masse popolari guadagnano autonomia e
diventano consapevoli che sono loro a fare la storia, e che solo loro possono farla.
Da un lato sta chi ci insegna a guadagnare autonomia nel farci la pasta,
dall’altro chi disquisisce di argomenti che la maggior parte di noi non
capisce. Chi sono i veri continuatori dell’opera di Gramsci è chiaro come il
mattino in cui ci si illumina d’immenso[1].
Questa esperienza è stata raccontata da Angelo Iacobbi,
esponente del Comitato a un pubblico folto intervenuto al Ristorante “Il
Cortile”, a Caserta, in una iniziativa organizzata dal sindacato USB e
dall’associazione SCETAT, che si occupa
di rivalutazione di territorio, cultura, enogastronomia in questa parte
d’Italia. Tema dell’iniziativa: Il ruolo del Sindacato nella costruzione del
Potere Popolare nella Rivoluzione Bolivariana.
Relatori all’iniziativa erano, oltre a Iacobbi, Antonio
Cipolletta di ANROS[2]
e Giuliano Granato dell’ex OPG[3]. Danilo Della Valle,
dell’ANPI di Caserta, moderatore, ha introdotto spiegando che fine dell’iniziativa
era contrastare la propaganda di regime sul Venezuela, paese che per primo in
questo nuovo secolo ha mostrato che un nuovo mondo è possibile, e ha avviato
una distribuzione più equa della ricchezza prodotta, che qui è principalmente il
petrolio.
Contro questo nuovo Venezuela è stata scatenata una guerra
economica. Proiettano un video dove si mostra la propaganda dei media a
sostegno di questa guerra a livello internazionale, e informano sul paese e la
sua storia. Il paese possiede le più grandi riserve petrolifere del mondo. Gli
USA ambiscono a controllare questa risorsa, dato che ne sono i maggiori
consumatori al mondo. Ogni 100 barili che consumano devono importarne 60. Parecchi
ne importano dai paesi arabi, e al controllo della produzione in zona sono
legate tutte le guerre degli ultimi decenni (dall’Iraq alla Libia alla Siria). Il
trasporto del petrolio dal Medio Oriente agli USA richiede però molto tempo e
denaro, mentre trasportarne dal Venezuela consente abbattimento di tempo e
costi del 90%. Per più di 40 anni grazie al Patto di Punto Fijo[4] gli USA si sono garantiti
petrolio a basso prezzo, mentre cresceva la miseria della popolazione. Si
arrivò nel 1989 alla ribellione, il Caracazo, durante il quale furono uccise dall’esercito
tremila persone. Qui iniziò il suo percorso Chávez, che dall’esercito iniziò a
fare politica fino a diventare dirigente del paese dieci anni dopo e dare avvio
alla rivoluzione bolivariana. Sotto il governo della rivoluzione grandi sono
stati i passi avanti per le masse popolari del paese in tutti i campi.
Gli USA sostennero un colpo di Stato nel 2002, che fallì.
Anche un successivo tentativo di destabilizzazione fallì. Oggi tentano con il
golpe morbido. Il paese dipende molto dalle importazioni, quindi l’oligarchia
cerca di togliere i prodotti di prima necessità e di specularci sopra. A questo
si accompagna la manipolazione dell’informazione, cercando di fare passare il
governo come “quello che reprime movimenti pacifici di protesta”. Parecchi sono
stati i golpe tentati o riusciti negli ultimi anni in America Latina, ma il
Venezuela non consentirà che gli imperialisti riprendano il potere nel paese,
dice il presentatore del video.
Parla Iacobbi, e dice che è difficile immaginare l’oppressione
coloniale nel paese prima che Chávez andasse al governo. Il 90% della terra era
in mano all’1% della popolazione. La popolazione viveva in povertà, non c’era alcun
diritto alla salute, o all’assistenza in vecchiaia. Quando è arrivato nel 2001
non c’era anagrafe e le macchine non avevano targa. Oggi la destra dice che
mancano le medicine ma allora non c’erano ospedali. Chávez come prima cosa fece
arrivare moltissimi medici da Cuba creando ambulatori ovunque. Si avviò una
lotta contro l’analfabetismo. Oggi ci sono italiani che si lamentano della
situazione perché venivano in Venezuela e facevano quello che volevano, si
appropriavano di terra, costruivano fabbriche, assumevano lavoratori che non ne
avevano alcun diritto e non pagavano alcuna tassa. Esisteva allora un categoria
di lavoratori chiamati “residenziali”, obbligati a essere a disposizione del
padrone per qualsiasi sua necessità 24 ore su 24. Orario di lavoro e salario
dei lavoratori erano a piena discrezione dei padroni.
Oggi sono stati istituiti tutta una serie di diritti, sette
ore lavorative al giorno, due giornate libere consecutive, la liquidazione,
quindici giorni di ferie all’anno che crescono con il passare degli anni,
divieto di lavoro sotto i 14 anni, divieto di discriminazioni di genere e razziale.
Se un padrone lascia una fabbrica i lavoratori possono farla propria e
continuare la produzione. Probabilmente si riferisce a decise prese di
posizione di Maduro dello scorso anno, in cui il presidente della Repubblica
parlava del fatto che i lavoratori dovevano occupare le fabbriche e i padroni
che le abbandonavano dovevano essere arrestati.[5]
Questo ci fa pensare a quanto scrive Paolo Maddalena, vice
presidente emerito della Corte Costituzionale nella sua proposta di “Attuazione
della Costituzione economica” che è conforme a un programma di un governo di
emergenza, di un governo di blocco popolare. Cita l’art. 42 della Costituzione
secondo il quale “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge
(cioè dalla volontà suprema del Popolo) ... “allo scopo di assicurarne la
funzione sociale”. Parla quindi della “necessità del passaggio alla proprietà pubblica
comunale dei “beni e dei terreni abbandonati”. Lo consente il citato art.
42 della Costituzione, il quale afferma, come si è appena visto, che “la
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge .... allo scopo di
assicurarne la funzione sociale”, afferma cioè, senza ombra di dubbio, che
“l’inadempimento della funzione sociale”, e a maggior ragione il perseguimento
di fini antisociali (come è il licenziamento dei lavoratori) fa “venir meno” la
tutela giuridica, e cioè la tutela e la garanzia del diritto di proprietà
privata.”
Maduro e Maddalena sono uomini diversi per età, per
nazionalità, per posizione di classe e per provenienza politica, e la loro
convergenza sulla preminenza della proprietà collettiva sulla proprietà privata
è segno chiaro di come il movimento storico e oggettivo spinge verso la
rivoluzione, spinge a costituire un assetto sociale dove si riconosce che i
mezzi di produzione, il modo di produrre, la distribuzione dei prodotti devono
essere gestiti dalla classe operaia e dal resto dei lavoratori, dai popoli e dalle
masse popolari. Il dominio della borghesia imperialista si incrina e si
disgrega. Questo impariamo a vederlo ovunque, anche in questa iniziativa di
Caserta, dove Iacobbi continua il suo racconto dicendo che oggi quei lavoratori
“residenziali”, schiavi mascherati, sono stati aboliti. Sono garantiti i
diritti di madri, padri e genitori di figli disabili. Si può costituire un
sindacato. Le cause del lavoro si chiudono in poche settimane.
Alle
19 il lavoratore ha il diritto di essere trasportato a casa, dice. Infatti in
Venezuela non ci sono ferrovie, perché gli statunitensi non ne hanno fatte:
viaggiavano in aereo da un possedimento all’altro. Non ci sono autostrade. Ci
vogliono due ore di viaggio per arrivare a casa e ai tropici fa buio alle 18.
La sera dovrebbero fare due ore a piedi nel buio completo. Oggi si forniscono
ai lavoratori auto e autobus.
Maduro conosce bene i problemi dei lavoratori perché è stato
un lavoratore della Metro di Caracas, dice. Aggiunge che non è il denaro quello
che manca, che non si fa la guerra economica facendo mancare il denaro: manca
la farina, mentre si possono acquistare tutti i televisori a schermo piatto che
si vogliono.
Vide un ospedale prima della rivoluzione con i malati a
terra sui cartoni. Oggi racconta dell’ultimo ospedale che ha visto,
completamente gratuito, modernissimo e pulitissimo. Parla dell’ambulatorio con
i medici cubani in cui i malati quando arrivano al pronto soccorso sono curati
immediatamente.
L’impresa più grande di Chávez è stata dare la coscienza
alle masse popolari. Si sta combattendo per eliminare la discriminazione
razziale, e contro un nemico potente, che ha in mano tante risorse e vuole
tornare ai tempi in cui aveva a disposizione una manodopera quasi gratuita,
costretta a vivere in posti come quelli in cui da noi stanno le galline. Oggi
si costruiscono abitazioni a una velocità impressionante.[6]
Oggi la destra dice che tutto quello che manca è per colpa
di Maduro, mentre solo ora si sta imparando a produrre quello che è sempre
mancato. Lui quando è arrivato nel 2001 vedeva la gente che mangiava nelle
pattumiere, o che mangiava cibo per cani, se voleva carne. Mario Neri del
Circolo Bolivariano Gramsci di Caracas sta insegnando a farsi la pasta in casa,
perché gli importatori italiani vendono la pasta al triplo del prezzo che si
venderebbe in Italia. Dice che possiamo comprare macchine per fare la pasta[7] e portarle in Venezuela.
Il governo passa la farina ma corruzione e speculazione
rendono la distribuzione difficile. Il commercio di questo come di altri beni primari è campo di
guerra. Gli USA hanno inventato un sito, DollarToday,
dove definiscono a loro piacimento il cambio tra dollaro e la moneta nazionale,
il bolívar, intervenendo così pesantemente nell’economia del paese. Quando il
governo aumenta i salari, il sito USA svaluta la moneta venezuelana. Si passa
dal pagare un bene X bolívar al pagarlo 4X bolívar, perché i negozianti fanno i
prezzi in base a quello che vedono quanto il bolívar è valutato rispetto al
dollaro su DollarToday.
Il progetto della pasta fatta in casa viene descritto da un
contributo audio di Fabio Salvati, compagno in prima fila nella Rete di Solidarietà
con la Rivoluzione Bolivariana. I corsi per fare la pasta vengono fatti in
strutture collettive, istituzioni comunali, organizzazioni popolari, scuole,
dove all’insegnamento tecnico si accompagna il discorso su come sostenere la Rivoluzione.
Sono stati realizzati 40 di questi corsi. Le macchinette costano circa 30,00 €
e vengono portate a mano, dice perché spedirle costa più che comprarne. Ne
hanno portate una ventina. I corsi hanno un grandissimo successo. Si viene a
fare la pasta nella struttura, e la macchina rimane in quel luogo, che se uno
se la portasse a casa ne farebbe poi uso privato.
Antonio Cipolletta, di ANROS, interviene per parlare dell’attacco
contro la Repubblica da parte non solo degli USA ma anche da paesi che agli USA
sono sottomessi (Messico, Honduras, ecc.). Parla della guerra economica,
psicologica, mediatica ordita dagli USA e gestita dalle mafie interne al paese,
con il contributo di speculatori, arraffatori e contrabbandieri operativi al
confine con la Colombia. Parla delle relazioni internazionali del Venezuela, dell’attivismo
della ministra degli esteri con i paesi produttori di petrolio, del sostegno
alla lotta del popolo palestinese, del sostegno alla Siria, e alla Libia di
Gheddafi, che hanno subito l’attacco da parte degli imperialisti, delle
relazioni avviate con Russia e Cina, che offrono alle Forze Armate Nazionali Bolivariane
(FANB) addestramento ma anche armi, quante ne possono servire in caso di
aggressione. Il Ministero della Difesa lo scorso mese ha simulato una risposta
delle FANB rispetto a una aggressione possibile, parlando di Guerra Popolare di
Lunga Durata.[8]
Il paese, però soprattutto è costruttore di cooperazione, con la costruzione
dell’ALBA,[9] e di prospettive di pace.
Nel paese si pratica quello che abbiamo definito socialismo
del nuovo secolo, un socialismo applicato alle esigenze del paese, dice, aggiungendo
che abbiamo il dovere di sostenerlo. Effettivamente ogni rivoluzione
socialista, anche quella che stiamo costruendo in Italia, va applicata alle
esigenze del paese perché, come dirà Giuliano Granato che interviene ora,
citando il peruviano José Carlos Mariátegui, la rivoluzione in un paese non può
essere ní calco ní copia di quella di
un altro. In Italia, ad esempio, condizioni particolari hanno reso necessario
che per costruire la rivoluzione siano stati costruiti due partiti comunisti, e
non uno solo.[10]
Giuliano Granato dell’ex-OPG parla dell’occupazione dell’ex
Ospedale che stanno gestendo. L’esperienza del Venezuela per loro è
determinante e fonte di ispirazione, anche se la distanza tra la situazione del
nostro paese e quella del Venezuela è molta, dice. Insegnamento prioritario è
quello della democrazia popolare e “protagonica”[11], che viveva in consigli
comunali già esistenti prima che arrivasse Chávez, solo che Chávez li ha
sostenuti ed estesi. Dice che il punto più alto della lotta di classe anche
quanto a partecipazione e protagonismo nei paesi imperialisti è stato in Italia,
l’esperienza più ricca, dice, nonostante le batoste che abbiamo subito, e
quello che viene portato avanti in Venezuela fa tornare in mente questa
ricchezza. Questo dice il compagno, o almeno penso che abbia detto questo,
perché dovrebbe definire meglio cosa intende con esperienza della lotta di
classe nel nostro paese e con “batoste”.
Parla dell’importanza della formazione politica all’interno
dei luoghi di lavoro in Venezuela. Questo fa parte di un processo di “coscientizzazione”
che, dice, in America Latina non è arrivato fino in fondo, e a questo sono
dovuti l’avanzamento della destra in Argentina e Brasile e le difficoltà
presenti in Venezuela. Qui il compagno contraddice quello che ha detto sopra
Iacobbi, secondo il quale Chávez ha dato coscienza alle masse popolari, ma
anche con quello che dirà lui stesso più oltre.
Il nemico non è eliminato, dice. È ancora all’interno del
paese e lavora in modo sotterraneo, e
per questo Chávez invitava i lavoratori al controllo popolare, quello che è
stato portato avanti dall’ex-OPG ai seggi, contro la camorra che, anche nel suo
quartiere, controllava l’andamento del voto.
Abbiamo tanto da imparare dai movimenti di base che hanno portato
al potere Chávez, dice. Chávez pensava che fosse possibile una terza via come
quella dei socialdemocratici, come quella propagandata da Blair, ma una volta
in campo si è reso conto della impossibilità di questo percorso, seguendone
invece uno che rendeva impossibili manovre come quelle applicate in Brasile
contro la Rousseff. In Venezuela, in 18 anni si è costituita una coscienza tra
le masse popolari che è una barriera contro le manovre, dice. Si chiarisce
quindi che il compagno probabilmente vuole dire che mentre in Venezuela le
masse popolari sono state portare ad acquisire una coscienza sufficiente per
arrestare il ritorno della destra, anche se non ancora tale da poter dichiarare
vinta la guerra, in altri paesi questo non è accaduto.
Parla dell’appoggio del governo italiano all’opposizione del
Venezuela, delle imprese italiane che vantano crediti dal governo, secondo
quanto dice Casini.[12]Risponde subito Iacobbi parlando
del credito vantato da compagnie come l’Alitalia, che vogliono essere pagate in
euro, mentre pagano il carburante in bolívar, e fanno prezzi bassissimi grazie
all’intervento del governo. Come altre imprese italiane, Alitalia vogliono
speculare sul cambio tra bolívar e euro. Casini vuole il voto degli italiani
all’estero, di quegli italiani che sono andati in Venezuela e si sono
arricchiti rapidamente grazie alla libertà di speculare e sfruttare. L’Alitalia
in Venezuela aveva un costo del lavoro e della benzina quasi inesistente ed è
andata in attivo, e perciò pretende si torni a quelle condizioni. Non
sopportano una situazione in cui agli operai è dato diritto di discutere
dell’organizzazione del lavoro, a giudicare i padroni, cosa per cui si
organizzano periodicamente assemblee dove si decretano multe se i padroni non sono
in riga, multe che crescono se i padroni persistono nel non rispettare i
diritti dei lavoratori.
Iacobbi vuole parlare anche dell’ultima sconfitta elettorale
da parte delle forze governative. La redistribuzione della ricchezza promossa dalla
rivoluzione bolivariana ha creato un determinato grado di benessere, e la
destra sta mettendo in giro voci che “i comunisti si rimangeranno tutto”. Il
problema, sinteticamente, è che il governo ha fatto l’errore di dare al popolo
il pesce, anziché insegnargli a pescare.
Luigi Sito, presidente del
Sindacato Lavoratori in Lotta chiede perché Maduro, che ha il potere, non ha
possibilità di distribuzione dei beni di prima necessità, e perché non impedisce
a Barilla di andare via portandosi i macchinari. Quindi interviene Paolo
Babini, del P.CARC. Chiede se in Venezuela è stata
avviata una lotta dei sostenitori (capeggiati da Maduro) della linea
consistente nel creare nel paese una struttura produttiva (agricola, industriale
e di servizi) o pubblica o in altro modo collaborante con la direzione della
rivoluzione bolivariana, e se a fronte di questo, oltre alla destra esterna,
quella di cui abbiamo parlato finora, esiste anche una opposizione interna, di
dirigenti che di fatto vogliono limitarsi a prolungare la distribuzione alle
masse popolari (in servizi, in beni e in salari o sussidi) di una parte della
rendita petrolifera lasciando intatto il dominio della borghesia e
dell’imperialismo sulla struttura produttiva e sulla distribuzione e quindi le
forze reazionarie nella guerra economica contro le forze della rivoluzione
bolivariana. Aggiunge che è giusto fare iniziative come questa, dove abbiamo la
possibilità di conoscere la realtà del Venezuela e capire come possiamo sostenere
la rivoluzione bolivariana ma, da un lato il modo migliore per sostenerla è
fare la rivoluzione nel nostro paese, costruire il socialismo, cosa che
parecchi che pure si dicono comunisti in Italia pensano impossibile, come se in
Venezuela si potesse e in Italia no. Inoltre, è giusto che sia anche la
rivoluzione bolivariana a sostenere chi, in Italia, costruisce la rivoluzione
socialista, proprio perché chi fa questo in un paese imperialista porta un
contributo determinante per fare vincere la resistenza contro gli imperialisti
in Venezuela e in ogni parte del mondo.
Interviene quindi Fabiola D’Aliesio, segretaria federale del
P.CARC in Campania. Dice che questa guerra economica in Venezuela ci può
scandalizzare, ma in fondo anche a noi stanno togliendo quanto abbiamo
conquistato. Anche da noi c’è una guerra, anche se non dichiarata. Parla anche
lei di una lotta interna a fronte di un processo come quello che Maduro ha
avviato, ma anche in Italia c’è una lotta tra chi afferma che oggi in Italia è
possibile fare la rivoluzione e chi dice che dobbiamo tenerci questo sistema e
al massimo possiamo pensare di migliorarlo.
Oggi bisogna portare la solidarietà al Venezuela ma la più
grande azione di solidarietà a casa nostra è lottare perché in Italia non ci
siano i Ferdinando Casini di turno. Intende dire che dobbiamo fare un governo
di emergenza, come quello che si sta prefigurando nelle iniziative e nelle
prospettive di alcuni soggetti e forze politiche dopo la vittoria del NO al
referendum del 4 dicembre. Infine torna al tema di cui qui dobbiamo discutere,
quello ruolo del sindacato. Cita l’esperienza che ci è stata raccontata da
esponenti della rivoluzione bolivariana quando hanno istruito i lavoratori a
controllare il porto, nel 2002, un punto cruciale per il blocco delle
importazioni su cui i golpisti contavano per consolidare il proprio potere.
Fa i complimenti all’USB che ha fatto questa iniziativa per
coinvolgere i lavoratori di Caserta, complimenti che vengono condivisi anche da
un intervento telefonico di esponenti della rivoluzione bolivariana, dove si
ribadisce il sostegno al governo di Maduro, il presidente operaio.
Interviene infine Fulvio Beato, dirigente dell’USB di
Caserta, che spiega le ragioni di questa iniziativa. Parla dei lavoratori qui
presenti, a rischio di licenziamento e oggetto di repressione da parte del
padronato. Il Venezuela geograficamente ci è distante, dice, ma quanto lo è
politicamente e socialmente? In fin dei conti qui da noi la situazione non è
cruda come quella del Venezuela pre-chavista, ma abbiamo il caporalato, dove il
sindacato non esiste, e la fase attuale non è avanzata né avanzante, in tutte
le aziende, piccole, medie e grandi, incluse quelle partecipate. In certe
aziende agiamo quasi come una organizzazione clandestina (hanno fatto una
riunione in una ghiacciaia), sotto minacce o della camorra o dell’avvocato del padrone.
Da certi punti di vista il Venezuela è quindi più avanti, quando si parla di
diritti sindacali. Parla del fatto che l’USB ha dovuto firmare il Trattato Unico
di Rappresentanza, che ingabbia l’azione sindacale, cosa sul quale dissente. È
stato un successo, conclude, quello di fare partecipare i lavoratori casertani,
per mostrare loro che, anche se oggi l’URSS non c’è più, purtroppo, comunque qualcosa
c’è.
L’associazione SCETAT conclude ringraziando Iacobbi,
Cipolletta, Granato, Danilo Della Valle dell’ANPI, Beato, Francesco Tescione
dell’USB, Ciro Brescia di ALBAinformazione,
il titolare del ristorante che ha ospitato questa iniziativa, l’organizzazione Speranza
per Caserta, il presidente provinciale dell’ANPI di Caserta, i compagni del
P.CARC e del SLL, e la cantante lirica Teresa Sparaco, “cantante del popolo”.
Conclusione
L’iniziativa è stata indubbiamente un successo. A noi però
serve soprattutto per l’insegnamento principale che ci dà, e che viene
dall’intervento di Fulvio Beato. Contro il senso comune, secondo il quale “noi italiani
siamo quelli che stanno meglio”, Beato dice che in Venezuela, quanto a pratica
sindacale, sia sono più avanti sia avanzano, a fronte di situazioni in cui
bisogna agire clandestinamente, come succede all’USB, a Caserta, ma come
potrebbe succedere in più parti d’Italia, dopo che l’introduzione del Job’s Act
consente al padrone di licenziare i lavoratori che si espongano nelle lotte per
la difesa e l’estensione delle conquiste strappate alla borghesia imperialista
nell’ultimo mezzo secolo. Noi del Partito dei CARC siamo andati a questa
iniziativa dopo avere fatto due discussioni a Napoli, una a GAlleЯi@rt[13] nella Galleria Principe e
una nella Scuola occupata Schipa in via Salvator Rosa, su una intervista al
segretario del (nuovo)Partito comunista italiano, che è un partito clandestino.[14] Le ragioni per cui il
partito comunista deve essere clandestino sono state spiegate dall’inizio e a
fondo nelle pubblicazioni del (nuovo)PCI, e si riassumono nel fatto che se un
partito vuole fare effettivamente la rivoluzione socialista e sa anche come
farla, non può pensare di organizzarsi sotto gli occhi della classe che vuole rovesciare,
pensando che questa si lasci sconfiggere come in una partita a briscola a carte
scoperte. Oggi in una terra come quella dove operano le organizzazioni
criminali si può capire meglio che altrove che anche le lotte rivendicative dei
lavoratori entro la cornice della legalità borghese non si sviluppano, soffocano,
e quindi si finisce per riunirci, giustamente, “in ghiacciaia”.
I comunisti saranno liberi di operare apertamente solo nei
paesi dove avranno conquistato il potere, dice il Manifesto programma del (nuovo)PCI.[15]
Nel nostro paese, come detto sopra, compagni e compagne impegnati nel
lavoro per la ricostruzione del (nuovo)PCI hanno scoperto la necessità che ci
fossero non uno, ma due partiti. Oggi noi compagni e compagne del P.CARC
diciamo spesso, al nostro interno, che senza il (nuovo)PCI il nostro Partito
non avrebbe ragione di esistere, sarebbe un avanzo sbiadito del passato o un
altro opportunista “gruppo di amici” che si dichiara comunista ma cura il
proprio interesse, si scava il proprio spazio nelle istituzioni, nei centri
occupati, nel “movimento”. Se è vero che il P.CARC senza (n)PCI non
esisterebbe, è vero anche che operando in modo combinato con il (n)PCI si
rafforza, si consolida, si rinnova, vince e la strada della riscossa, e della
vittoria, finalmente si apre.
Commissione Gramsci del P.CARC
[1]M’illumino
d’immenso è l’unico verso della poesia di Giuseppe Ungaretti, intitolata Mattino.
Ungaretti, spacciato per grande poeta nello scorso secolo e forse anche in
questo, era “un buffoncello di mediocre
intelligenza”, dice Gramsci, che nel 1932, in una lettera citata nei Quaderni
di Gramsci si vanta della sua vita “fieramente italiana e fascista”. Ungaretti
è uno i cui scritti sono stati insegnati nelle scuole della Repubblica
Pontificia ai figli e alle figlie dei lavoratori e delle masse popolari che
avevano accesso all’istruzione grazie alle lotte del movimento comunista, ma
nessuno ci diceva che era un fascista.
[2]ANROS
è l’Associazione Nazionale di Reti e Organizzazioni Sociali. Vedi in
https://albainformazione.com/2014/12/12/anros-italia-lunga-marcia/
[3]L’ex OPG è
quello che era l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario, a Napoli, nel quartiere
Materdei, occupato nel 2015 da studenti del Collettivo Autonomo Universitario.
[4]Il
patto di Punto Fijo fu stipulato nel 1958 tra i partiti borghesi AD e Copei, i
militari, la Chiesa e le rappresentanze ufficiali di imprenditori e lavoratori.
Si concordò una suddivisione del potere tra due diversi schieramenti di destra
e l’esclusione della sinistra. I soggetti che si alternavano al potere
garantivano agli imperialisti piena libertà di sfruttamento del lavoro e delle
risorse naturali.
[5]In
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/venezuela_crisi_maduro_occupare_fabbriche-1736639.html.
[6]La
costruzione di case di abitazioni procede in modo spedito grazie ai contributi
derivati da accordi con la Repubblica Popolare Cinese, dice Iacobbi.
[7]Sono
quelle piccole macchine che pesano 5 chili e che si usano nelle case per farsi
la pasta.
[8] “Guerra Popular Prolongada”. Vedi in https://albainformazione.com/2017/01/13/17116/
[9]L'Alleanza
Bolivariana per le Americhe (ALBA) (Alianza Bolivariana para América Latina
y el Caribe in spagnolo)
è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina e i paesi caraibici, promossa dal Venezuela e da Cuba in alternativa (da
cui il nome) all'Area di
libero commercio delle Americhe (ALCA) voluta dagli Stati Uniti.
[11]Protagonico
significa “protagonista”, in lingua castigliana.
[13]
https://albainformazione.com/2017/02/17/17176/
[14]http://www.carc.it/2017/02/01/una-nuova-intervista-al-compagno-ulisse-segretario-generale-del-nuovopci-sul-lavoro-del-partito-clandestino-e-la-differenza-fra-lattivita-del-nuovopci-e-quella-del-p-carc/
[15]“I
partiti comunisti svolgono legalmente, alla luce del sole, tutto il loro lavoro
solo dove la classe operaia detiene già il potere: nei paesi socialisti e nelle
basi rosse.” (Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed.
Rapporti Sociali, Milano, 2008, p. 212, in inhttp://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/03_Il_PC_lotta_Italia_nuovo_paese_socialista.html#3_4.)
martedì 21 febbraio 2017
DISOBBEDIRE ALLE LEGGI INGIUSTE: ATTUARE LE PARTI PROGRESSISTE DELLA COSTITUZIONE!
Riprendiamo e diffondiamo la comunicazione della Federazione toscana del Partito dei CARC in solidarietà a chi è colpito dalla repressione perché combatte il fascismo
Commissione Gramsci del Partito dei CARC
***
È stata rimandata all'11 aprile, l'udienza d'appello al compagno Lino Parra (prevista per lo scorso 15 febbraio), accusato di avere diffamato l’Ispettore Capo della Questura di Massa, Angelo Valentini, definendolo “picchiatore fascista” durante un presidio. Il tutto, nell’ambito delle mobilitazioni contro le ronde “SSS”, un tentativo di sdoganamento dei gruppi neofascisti operato dell'allora Consigliare Comunale di Massa, Stefano Benedetti. Il giudice in prima udienza ha accolto la richiesta di risarcimento avanzata dall’Ispettore Capo, condannando Lino al pagamento di 15.000 euro di risarcimento danni per avere offeso “l’onore” dell’agente (a tal proposito vedi: http://www.carc.it/2017/02/03/non-facciamoci-scippare-la-vittoria-referendaria-del-4-dicembre-applichiamo-la-costituzione-nelle-sue-parti-progressiste/).
Approfittiamo del rinvio per continuare e intensificare la nostra attività ai fini di costruire un ampio fronte di solidarietà a chi, come gli antifascisti di Massa, hanno difeso la Costituzione facendola valere nei fatti!
Nel nostro Paese chi ha attuato le parti progressiste della Costituzione è stato e viene colpito da repressione: chi si oppone ai processi di privatizzazione e smantellamento dei servizi pubblici, chi combatte le prove di fascismo e razzismo, chi lotta per il posto di lavoro. Ma è questo lo sbocco dell'importante vittoria ottenuta al referendum del 4 dicembre, far valere quella vittoria significa organizzarsi e mobilitarsi per attuare le parti progressiste della Costituzione, mettendo al centro tutto ciò che è legittimo e che va negli interessi delle masse popolari, anche se è illegale (a tal proposito rimandiamo all'articolo di Resistenza:http://www.carc.it/2016/12/30/mille-iniziative-di-base-per-applicare-dal-basso-le-parti-progressiste-e-democratiche-della-costituzione/).
Una prima occasione di dibattito, su questo tema sarà l'iniziativa del 23 febbraio, organizzata dalla sezione di Siena del Partito dei CARC: “Applicare la Costituzione è un reato?”, che si svolgerà presso lo spazio “Il Tortuga”, località Fosci 25, a Poggibbonsi (si allega la locandina dell'evento).
Sarà anche occasione per esprimere il proprio sostegno politico, economico e morale nei confronti di chi è colpito dalla repressione, come lo è stato il compagno Lino in questo caso. Solidarizzare è compito di tutti quanti sono onestamente per la difesa della Costituzione, per la costruzione di un'alternativa politica, economica, sociale, per le masse popolari del nostro Paese.
Rispediamo al mittente questo attacco repressivo: usiamolo per promuovere l’autorganizzazione e la mobilitazione popolare!
Federazione Toscana del Partito dei CARC
lunedì 20 febbraio 2017
CONTRATTACCARE ALLA RICHARD GINORI
La Commissione Gramsci si associa al (nuovo)PCI nella diffusione del comunicato “Contrattaccare alla Richard Ginori”. La classe operaia della Richard Ginori ha avuto sempre ruolo da protagonista nella lotta di classe del nostro paese. Nel documento delle due compagne si fa riferimento allo storico sciopero dei settanta giorni, contro misure del padrone Richard il cui obiettivo era obbligare gli operai a scendere sul terreno di lotta, costringerli a uno sciopero prolungato, approfittare delle debolezze della CGL e infiltrare tra di loro i fascisti. I fascisti screditarono il sindacato e iniziarono la propaganda per il corporativismo, perché, cioè, gli operai anziché unirsi nella lotta contro il padrone si unissero al padrone nella lotta contro altri operai, contro i “sovversivi”.
L’Ordine Nuovo di Gramsci intervenne sulla questione:
“Sesto, questa piccola oasi di tranquilla
operosità proletaria, doveva cadere, gioco forza, in mano agli squadristi,
doveva anch’essa essere occupata dalle guardie bianche, come la quasi totalità
delle cittadine, del paese, delle campagne della provincia di Firenze .
È vero che la difesa di questo borgo operaio
avrebbe potuto significare la ragione per una energica azione offensiva delle
forze proletarie del fiorentina ed è vero anche che motivi per organizzare
questa offensiva e condurla ce n’erano nell’episodio della difesa di Sesto
dall’assalto delle squadre fasciste. Bastava che a dirigere le masse
organizzate della nostra provincia vi fossero stati uomini capaci di intendere
la necessità di agire, adatti ad affrontare una battaglia terribile, grandiosa,
disperata. Invece anche questo ultimo lembo di terra proletaria, questo
superstite paese “rosso” è caduto senza resistere incontro ad un branco di
bravacci e anche per Sesto s’è iniziata ora la triste occupazione dei fasci di
combattimento.
Non c’è affatto da meravigliarsene.
Lo sciopero
dei ceramisti, impostato su un terreno difficile, uscito da una
situazione ambigua, equivoca, oscura - è
vera, on. Paolino, la storia del concordato da voi accettato e sottoscritto e
poi fatto infirmare dagli operai lanciati nella battaglia? - avrebbe dovuto
esser condotto energicamente e disperatamente, senza indecisioni pericolose,
senza perplessità, senza dubbi. Perché questo sciopero...non era più una
semplice battaglia da sostenersi con degli industriali reazionari e caparbi e
intransigenti, ma dopo il violento intervento delle squadre fasciste,
intervento portato a disordinare, a impressionare, a indebolire la resistenza
operaia, si era trasformato nel primo tentativo squadrista di impiegare la
sopraffazione e il sopruso nelle lotte sindacali. Si direbbe quasi che
l’eccezionale significato di questa lotta sia sfuggito ai dirigenti le
organizzazioni sindacali fiorentine, ai confederalisti della Camera del Lavoro.
Perché lo sciopero eseguito con meravigliosa compattezza, con magnifica
disciplina, delle masse ceramiste di Sesto, è stato abbandonato a un tratto,
con una ritirata inonorata, lasciando alla violenza di un centinaio di
fascisti, accampati nel paese rosso, la gloria di questa nuova vittoria,
riportata con tanta facilità da sbalordirne gli stessi vincitori?
Ora si cominciano a raccogliere i frutti di
questa sconfitta; accanto alle rappresaglie fasciste, che colpiscono i più
attivi nostri compagni, si preparano infatti e si annunziano già le
rappresaglie padronali. Ben pochi operai comunisti potranno da oggi trovare da
guadagnarsi da vivere negli stabilimenti di Doccia, ché la rioccupazione delle
maestranze avverrà in modo da permettere alla direzione la maggiore libertà
nell’esercitare le vendette tante volte promesse, tante volte sperate. E i
migliori saranno i sacrificati, i perseguitati, i condannati alla miseria, alla
fame. Non ci saranno proteste, ne si tenteranno pronunziamenti. Il randello
squadrista terrà in rispetto ormai le magnifiche, battagliere masse operaie del
Sestese, ora demoralizzate, scoraggiate, deluse. [1]
Il foglio di Gramsci, però, non comprende le cause della sconfitta: dice che “bastava che a dirigere le masse organizzate della nostra
provincia vi fossero stati uomini capaci di intendere la necessità di agire,
adatti ad affrontare una battaglia terribile, grandiosa, disperata.” Ci
volevano di sicuro uomini e donne del genere, così come ce ne vogliono per le
battaglie di oggi (grandiose sicuramente e anche terribili, ma non diciamo
disperate), ma uomini e donne uniti ideologicamente e organizzativamente, cioè
ci voleva e ci vuole un partito della classe operaia che ha scienza (che
comprende la necessità di agire) e determinazione (adatto alla guerra in
corso).
Avviso ai naviganti 69,
20 febbraio 2017
2017, centenario della gloriosa Rivoluzione d’Ottobre, la svolta
nella storia dell’umanità
Comitato Centrale del (nuovo)Partito comunista italiano
Sito: http://www.nuovopci.it
e.mail: lavocenpci40@yahoo.com
DELEGAZIONE:
BP3 4, rue Lénine 93451, l’Ile St Denis (Francia)
e.mail: delegazionecpnpci@yahoo.it
Contrattaccare alla Richard Ginori
Riceviamo e su più ampia scala diffondiamo il comunicato che due compagne simpatizzanti del nostro Partito hanno preparato e fatto circolare per mobilitare le file locali del Partito dei CARC, i comunisti, gli operai avanzati della Ginori e gli altri elementi avanzati delle masse popolari dell’area metropolitana di Firenze e chiamarli alla lotta. Lo diffondiamo perché la lotta degli operai della Ginori incominci a suscitare e ricevere solidarietà da tutti i lavoratori e gli elementi avanzati del nostro paese e a sua volta contribuisca a rafforzare le forze proletarie e popolari che lottano nel resto del paese e del mondo.
In tutti i paesi imperialisti la borghesia si
accanisce contro la legislazione del lavoro (Jobs Act, leggi del lavoro, ecc.):
è la conferma plateale dell’importanza della classe operaia e del ruolo che i
proletari aggregati nelle aziende capitaliste e nelle aziende e istituzioni
pubbliche possono svolgere nella rivoluzione socialista. Altro che scomparsa
della classe operaia!
Le aziende sono in crisi perché la società borghese
è in crisi. Ogni azienda può e deve diventare il focolaio locale della
rivoluzione socialista! L’instaurazione del socialismo è l’unica via per porre
fine al catastrofico corso delle cose che la borghesia infligge all’umanità per
prolungare la vita del sistema capitalista.
I partigiani delle due parole d’ordine “attuare la
Costituzione”, “rompere con UE, Euro e NATO” devono sostenere la lotta degli
operai che vogliono costituire un loro governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare.
Allora le realizzeranno. Senza questo le due parole d’ordine restano slogan
privi di conseguenze pratiche, buoni per qualche manifestazione o per tentare
di mettere insieme un nuovo cartello elettorale della sinistra borghese da
schierare alle prossime elezioni politiche e amministrative.
16 gennaio 2017. La Richard Ginori è di nuovo sotto attacco, con minacce di
trasferimento dell’azienda e di lavoratori dichiarati in esubero. La pretesa
padronale, oltre al taglio dei lavoratori, è di trasferire l’azienda fuori
Sesto Fiorentino, grossomodo, sembrerebbe, come accadde negli anni Cinquanta
quando, al termine di una lunga lotta, i padroni abbandonarono la vecchia
manifattura, attiva da secoli e la fecero ricostruire dall’altro lato della
città. Oggi però l’intento non è di costruire altrove per riprendere la
produzione in un contesto di espansione produttiva generale come fu dagli anni
Cinquanta in poi, grazie alla quale le centinaia di licenziati dalla fabbrica
trovarono occupazione e Sesto diventò una cittadina ricca sul piano economico,
dei servizi alla collettività, di insediamenti culturali come, ad esempio, l’Istituto
Ernesto de Martino. Oggi l’intento di Gucci (e dei padroni suoi complici in
affari e in politica) è trarre profitto dalla speculazione, non dalla
produzione, e condurre la fabbrica più o meno lentamente alla morte, come fatto
in decine e decine di casi simili in Toscana, come stanno facendo per due
grandi insediamenti industriali come la Piaggio di Pontedera e l’acciaieria di
Piombino, e non guadiamo oltre la Toscana! Si tratta di un intento che
naturalmente i padroni e i loro complici non possono confessare, né in generale
né a Sesto: chiudere la Ginori significa strappare a Sesto mente e cuore,
perché questo insediamento urbano si è strutturato nei secoli sul piano
economico, politico e culturale attorno a questa fabbrica.
Tra le altre cose, se l’intento dei padroni avesse
successo, significherebbe la fine della giunta comunale presente, che alle
ultime elezioni amministrative [2015] si è imposta come una delle novità più
interessanti, di “rottura con il regime delle larghe intese”, insieme a quella
guidata a Napoli da De Magistris e a quelle del M5S. Effettivamente, questa
giunta si è imposta anche per l’onda lunga della vittoria degli operai che nel
2013 hanno imposto la riapertura della fabbrica, oltre che per la spinta della
mobilitazione popolare contro l’intento di costituire nella piana di Sesto un
inceneritore, di ampliare l'aeroporto e di costruire la terza corsia
dell'autostrada A11, cioè contro la frenesia speculativa e antipopolare delle
grandi opere inutili quando non anche dannose.
In effetti questo è il futuro che la borghesia imperialista
garantisce alle masse popolari: nessun futuro! A Sesto si chiude la produzione
delle ceramiche Ginori, si lascia alle ortiche il museo che raccoglie il meglio
di tale produzione nei secoli, e si avvia la produzione di veleno per l’aria
che respiriamo. Una giunta che non si pone l’obiettivo di mantenere nel
territorio fabbrica e occupati assumendo questo come la madre di tutte le
battaglie è pure essa condannata, come lo fu la giunta nel 1922, quando i
socialisti, al governo da 24 anni, dopo la sconfitta di uno sciopero di 70
giorni degli operai Ginori, abbandonarono i locali del Comune seguendo
l’intimazione dei fascisti scritta su un foglio di carta che si trovarono sul
tavolo.
Vincere è possibile. A chi parte sfiduciato per principio,
ricordiamo la vittoria del NO al referendum contro la modifica Renzi della
Costituzione dello scorso 4 dicembre. In questo caso particolare, però, per
vincere occorre una combinazione particolare, quella della classe operaia che
si mobilita per la difesa della fabbrica e dei posti di lavoro e
contemporaneamente riacquista fiducia che è possibile trasformare il mondo,
costruire una società nuova, il ché significa, nel caso nostro, fare
dell’Italia un nuovo paese socialista. Al coro che immediatamente insorge
quando diciamo questo, come se parlassimo di qualcosa che è assolutamente
impossibile, rispondiamo che la rivoluzione socialista è nella nostra mente non
come un sogno, ma come un progetto. Inoltre, rispondiamo con gli insegnamenti
tratti dalle battaglie che la classe operaia della Ginori ha condotto.
L’ultima battaglia alla Ginori, quella che nel 2013 ha
portato alla riapertura della fabbrica, è stata vinta grazie a uomini e donne
che mentre lottavano per gli interessi particolari loro e della città,
pensavano a livello dell’intero paese, cioè pensavano di costruire un paese
diverso, e agivano di conseguenza, e la loro lotta sindacale non era limitata
alle questioni immediate, ma spaziava nel tempo. Il discorso principale e più
avvincente della Festa del 25 aprile 2013 a Firenze fu quello di Nencini, del
Cobas Ginori, il quale ricordò quando gli operai e i sestesi tolsero le mine con
le quali i nazisti volevano fare saltare in aria la fabbrica. Anche oggi avete
mine da togliere, voi operai e sestesi e noi tutti!
Quello che disse
Nencini dal palco va tenuto a memoria:
“…ci troviamo in un momento
storico in cui è necessario mettere in campo una nuova resistenza. Che dobbiamo
combattere contro chi vuole, approfittandosi della crisi drammatica che stiamo
vivendo e che gli stessi hanno creato, cancellare i diritti dei lavoratori e
dei cittadini. Combattere contro chi sta precipitando il paese in una
condizione drammatica. Contro chi con le politiche assassine di austerità
produce disoccupazione, povertà e tragedia.
Resistere quindi, ma
mettendo in campo delle proposte, perché di fronte a questa crisi è necessario
che i lavoratori prendano coscienza di essere in un momento in cui non è più
possibile delegare ad altri il proprio futuro. Non è possibile delegare a una
casta che fa parte ormai in maniera strutturale del sistema di potere e che,
come la politica, mira prima di tutto a salvaguardare i propri interessi e i
propri privilegi.”
Nencini dice che è lì nel palco “per urlare con
forza che solo il lavoro può essere lo strumento per rilanciare l’economia e
per fare uscire il paese dalla situazione fallimentare e drammatica in cui
versa. Per urlare che c’è bisogno di una nuova politica, di una nuova economia,
di una diversa visione del mondo.”
Con questo spirito dalla fabbrica di Sesto si tesse una rete che
coinvolge lavoratori ed elementi avanzati delle masse popolari di ogni parte
d’Italia, organismi di lotta e organismi
politici a livello cittadino, regionale e nazionale, e si costringe i padroni,
sostenuti dalle istituzioni e soprattutto da un partito che ha Renzi come
guida, a riaprire la fabbrica.
Dopo la vittoria, c’è da chiedersi se veramente la considerammo una
battaglia di una guerra per una Italia nuova come quella descritta dal compagno
del Cobas, o se invece pensammo che fosse solo una battaglia, dopo la quale
ritornare alle attività correnti e a una presunta normalità, oltre la quale non
è consentito elevarsi più di tanto. C’è da chiedersi se veramente comprendemmo
che quella era una battaglia di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga
durata per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Non abbiamo dedicato la
dovuta attenzione al monito del (nuovo) PCI nel suo comunicato
di saluto del 16 giugno [2013] alla Assemblea Operaia che il Cobas Ginori
avrebbe promosso il 22 giugno a Firenze,
insieme al Comitato NoDebito:
“Oggi il peggiore reato (di fronte alla società e
alla storia) delle organizzazioni sindacali, anche delle migliori e ben
intenzionate, è di mantenere sulla difensiva questi milioni di lavoratori, di
paralizzare la loro enorme forza potenziale. Di limitarsi, nel migliore dei
casi, a mobilitarli quando il padrone attacca, quando il padrone minaccia di
ridurre i posti di lavoro, di delocalizzare o chiudere, di ridurre salari e
peggiorare le condizioni di lavoro, di eliminare i diritti conquistati. Ma
limitarsi a difendersi, in una fase come questa, vuol dire perdere, votarsi
alla sconfitta.”
Ma veniamo a oggi!
Nel numero di febbraio 2017 di Resistenza, foglio del P.CARC, c’è una intervista al
Segretario Generale del (n)PCI, Ulisse. Ulisse spiega che nella prima fase
della sua esistenza [1999-2004] il partito si è rivolto alle Forze Soggettive
della Rivoluzione Socialista (FSRS), cioè a quelle organizzazioni che vogliono
(o almeno dichiarano di volere) fare la rivoluzione e fare dell’Italia un paese
socialista, così come Nencini nel suo discorso del 2013 parlò di fare un paese
retto su una nuova economia, una nuova politica e una nuova filosofia. Il
discorso vale anche nella relazione che compagni del P.CARC stabilirono allora
con i lavoratori in lotta. Riferendosi agli inizi del (n)PCI, Ulisse dice:
Eravamo stati idealisti. In
alcuni casi avevamo pensato che una FSRS volesse realmente fare quello che
diceva. In altri avevamo confuso quello che ognuna di esse pensava di essere,
con quello che essa realmente era. In sostanza avevamo pensato che, siccome noi
davamo risposta alle domande che ognuna di esse apertamente si poneva, a quello
che apparentemente cercava e a cui dichiarava di aspirare, essa sarebbe venuta
con noi. In sostanza avevamo sottovalutato sia la separazione tra teoria e
pratica, separazione tradizionale nei paesi imperialisti e in Italia, per
precise ragioni storiche, più che in altri; sia gli effetti del sistema di
controrivoluzione preventiva e le “tre trappole” messe in opera dalla borghesia
e dal clero illustrate nell’articolo su La Voce n. 54 pagg. 17-19. (1)
Forse anche i compagni del P.CARC nel 2013 erano stati
idealisti; avevano creduto che siccome Nencini aveva detto, fosse fatto; forse
si sono fermati al dito (le affermazioni di Nencini) e non hanno guardato la
luna (creare le condizioni affinché quello che Nencini diceva diventasse
pratica delle masse popolari di Sesto Fiorentino e della Ginori, queste si
concentrassero sulla necessità di consolidare e compattare il nucleo operaio al
suo interno, ricercassero negli altri 280 operai nuova linfa per quel nucleo
storico di operai che era esausto). Ma ora la questione non è piangere sugli
errori fatti, i compagni del P.CARC devono imparare dai loro errori e così
avanzare.
(1) Nell’articolo si
scrive cosa è il regime di controrivoluzione preventiva: “Nel nostro Manifesto Programma abbiamo
illustrato (cap. 1.3.3) il sistema di
controrivoluzione preventiva: l’insieme di attività, di linee e di istituzioni
con cui la borghesia imperialista ostacola prevenendolo lo sviluppo della rivoluzione
socialista, l’insieme messo in opera a partire dall’inizio del secolo XX negli
USA ed esteso su grande scala a tutti i paesi imperialisti a partire dalla fine
della seconda Guerra Mondiale. Abbiamo in quel contesto illustrato il primo
pilastro e in particolare l’ampia diffusione di teorie che creano un meccanismo
di intossicazione, confusione e diversione dalla realtà diretto a conformare la
mente e i cuori delle masse popolari distogliendole dalla lotta di classe e
soprattutto dalla comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati
della lotta di classe.” Questo meccanismo è la prima trappola. La seconda
trappola sono le attività correnti. Siamo “al punto
che oggi spesso nei paesi imperialisti lavoratori che sono impegnati nel lavoro
remunerato quaranta o meno ore alla settimana (comunque circa la metà di quanto
lo fossero i loro nonni) si trovano inavvertitamente a non riuscire a disporre
di tempo per l’attività politica. Impegni familiari, relazioni sociali,
attività, hobby e droghe saturano il loro tempo lasciato libero dal lavoro in
produzione.” La terza trappola è il mondo virtuale. Quello che mira a “distogliere dal mondo reale a vantaggio di un mondo
immaginario e arbitrario in cui rifugiarsi anziché trasformare il mondo reale.”
Vincere è possibile, fare un governo di emergenza è
possibile ed è possibile fare dell’Italia un nuovo paese socialista, anche se
tutti i filosofi, economisti, politici di regime lo negano, e soprattutto anche
se a negarlo è stato il vecchio PCI a partire da Togliatti fino a Berlinguer e
oltre. Non si può provare, però, che vincere è possibile, fino a che non si è
vinto, come non si può sapere che una pera è buona fino a che non la si mangia.
Un fatto però lo abbiamo a disposizione, ed è che di sicuro chi non avanza
arretra: dopo la riapertura della fabbrica non è stata coltivata a dovere
l’idea del socialismo possibile e non è stato curato a dovere l’avanzare nella
costruzione del partito che rende il socialismo possibile, e cioè il partito
comunista. Dopo una lotta, soprattutto dopo una lotta importante a livello
nazionale, se non si esce con una maggiore unità di pensiero e una
corrispondente organizzazione, si finisce “sparpagliandosi
in una infinità di volontà singole”, come ha scritto Gramsci: così è accaduto nella Ginori e tra chi ha
guidato la lotta, dove si sono dati i giudizi più divergenti: tra chi la vide
come una vittoria ma non comprese come darle seguito; tra chi disse che era una
sconfitta al modo dei trotzkisti, per i quali tutto è una sconfitta a parte la
rivoluzione che secondo loro dovrebbe scoppiare simultaneamente in ogni parte
del mondo; tra chi per non “delegare alla casta”, delegò al Movimento Cinque
Stelle il quale, oggi, ancora non si è fatto vedere ai cancelli della fabbrica
per sostenere gli operai.
Dalla battaglia della Ginori abbiamo imparato che
l'importanza di ogni lotta ancora più che nei risultati immediati sta nel
contributo che dà alla crescita dell'organizzazione e all'elevazione della
coscienza dei protagonisti di quella lotta, gli operai.
Ma la disgregazione c’è stata anche fuori, in chi ha
sostenuto la battaglia, come ad esempio fece il Partito dei CARC, per il quale
iniziò una fase critica che si manifestò in tutta la sua acutezza un anno dopo,
e che fu però salutare: oggi questo organismo della Carovana del (n)PCI ha
conquistato nella capitale della regione una forza che mai ha avuto. Il fatto
è, compagni e compagne, che in un singolo scontro l’importante non è vincere o
perdere, ma dall’uno o dall’altro esito trarre terreno per andare avanti. Una
sconfitta è un problema, e lo sappiamo, ma lo è anche una vittoria, se non
osiamo conquistare tutto.
Così fu dopo la grande vittoria dell’Armata Rossa sul
nazifascismo, in quegli anni in cui in Italia la Resistenza vinse, e poi il
Partito Comunista Cinese conquistò il potere in Cina, anni in cui il movimento
comunista aveva il governo nei paesi più popolati del pianeta, dal fiume Elba
fino alle coste asiatiche dell’Oceano Pacifico. Anche quel movimento arretrò:
prevalse la destra, di Kruscev, di Togliatti e degli altri revisionisti
moderni, che iniziarono con la denigrazione di Stalin e quindi, via via,
diffusero l’idea che il socialismo è impossibile, e infine disgregarono l’URSS,
massima parte dei paesi socialisti e il PCI e massima parte dei partiti
comunisti dei paesi imperialisti.
Fu la sinistra che non seppe come avanzare. Oggi abbiamo
studiato e compreso i limiti che ebbe la sinistra del vecchio PCI, del
movimento marxista-leninista e delle Organizzazioni Comuniste Combattenti come
le Brigate Rosse che ai revisionisti moderni si opposero, e riprendiamo il
cammino. Di fatto, il socialismo non solo è possibile, ma necessario.
Per diventare comunisti bisogna impadronirsi della scienza
delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia, svilupparla e
usarla per instaurare il socialismo: il Partito è la scuola per ogni individuo
deciso a diventare comunista!
Avanti quindi!
Costituire clandestinamente in ogni azienda capitalista, in
ogni azienda pubblica, in ogni istituzione e in ogni centro abitato un Comitato
di Partito per assimilare la concezione comunista del mondo e imparare ad
applicarla concretamente ognuno nella sua situazione particolare!
Studiare il Manifesto
Programma del Partito è la prima attività
di chi si organizza per diventare comunista. Stabilire un contatto clandestino
con il Centro del Partito è la seconda. Promuovere la costituzione di
organizzazioni operaie in ogni azienda capitalista e di organizzazioni popolari
in ogni azienda pubblica, in ogni istituzione addetta a fornire servizi
pubblici, in ogni scuola e università, in ogni zona d’abitazione è la terza.
Con il socialismo nessuna donna e nessun uomo è un esubero!
Con il socialismo c’è posto per tutti quelli che sono
disposti a far la loro parte dei compiti di cui la società ha bisogno!
Osare sognare, osare pensare, osare vedere oltre
l’orizzonte della società borghese!
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