"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

domenica 1 gennaio 2017

SU UNA INIZIATIVA DELLA REDAZIONE DI CONTROPIANO - Considerazioni della Commissione Gramsci

Da alcuni giorni riflettiamo sulla diffusione di una lettera di Julián Isaías Rodríguez Díaz - Ambasciatore in Italia della Repubblica Bolivariana del Venezuela, pubblicata il 21 dicembre scorso nel sito d’informazione di una organizzazione nota come Rete dei Comunisti (RdC). [1] La lettera è anticipata da una presentazione in cui si avanzano denigrazioni non si sa bene contro chi, visto che l’autore della presentazione non dice a chi si riferisce. Questo di tirare il sasso e nascondere la mano, di dire il peccato e non il peccatore, è un difetto grave, che dipende da ragioni storiche: nella penisola italiana ha mantenuto il potere per secoli una forza feudale, il papato, e ancora oggi costituisce uno dei centri di potere più importanti in Italia, per certi versi il potere più importante, perché occulto, perché agisce dietro le quinte. Questo ha avuto una influenza nefasta sulle masse popolari del nostro paese, e ha giustificato e diffuso il metodo dell’ipocrisia, dell’intrigo, del presentarsi in un modo ed essere in un altro. Questo ha avuto effetto anche nel movimento comunista del nostro paese: ha consentito che soggetti che non sono comunisti si presentassero come tali, che soggetti che si dichiarano come rivoluzionari allo stesso tempo dichiarano che la rivoluzione non è possibile, come uno che si dichiarasse fornaio e allo stesso tempo non solo dicesse che lui non può fare il pane, ma che non lo può fare nessuno.
Rete dei Comunisti rischia di continuare con questa linea. Come il fornaio nega che qualcuno possa fare il pane, dirigenti di questo gruppo negano che si possa fare la rivoluzione socialista. Come ha detto il Console della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli Bernardo J. Borges, il 31 ottobre 2009, al Secondo Congresso del Partito dei CARC tenutosi a Viareggio: “Le masse nel nostro paese hanno chiaro che l’unica maniera non solo per organizzarsi socialmente, ma per salvare il mondo, è il socialismo.”[2] Quindi il socialismo, per il mondo, è come il pane, ma Rete dei Comunisti nega che questo pane possa essere fatto per le masse popolari italiane, se non in un lontano futuro, quando saremo tutti morti di fame. Magari pensano che il socialismo si sta facendo in Venezuela, ma in Italia no. Luciano Vasapollo questo dice, e noi, Commissione Gramsci, lo citiamo perché va in giro per il mondo, e pure in Venezuela, a falsare il contributo di Antonio Gramsci, facendo così danno al movimento comunista del nostro paese e al movimento comunista internazionale.
Noi pensiamo che il socialismo è la salvezza del mondo e quindi anche del nostro paese, che va costruito anche nel nostro paese e, diversamente da chi dice che in Italia non si può e in Venezuela sì, diciamo che, al contrario, i processi rivoluzionari dei due paesi sono intrecciati. I passi avanti che si fanno in uno si riflettono immediatamente nell’altro, e perciò la solidarietà è, per noi, modo di crescere in forza, e motivo di contentezza, come diceva sempre Borges sette anni fa:  “Sono contento di essere qui, non potere capire quanto, perché vedo tante similitudini tra noi e voi, su quello che dobbiamo fare.”[3]
Diversamente, dirigenti di Rete dei Comunisti disseminano tra le masse popolari del nostro paese dubbi, esitazioni, scoramento, depressione, confusione, ognuno a suo modo. Disperdere tutto questo e riportare allo sguardo e al pensiero trasparenza e lungimiranza è l’opera che abbiamo intrapreso e che qui portiamo avanti.


All’opera!
Per un lavoro di dettaglio, scientifico e professionale, mettiamo in casella lo scritto del redattore di RdC.

Lo scritto in Contropiano
Spiegazione e commento.
Il settarismo all’italiana fa solo danni al Venezuela
L’autore si riferisce ad alcuni soggetti di cui parla la lettera dell’ambasciatore che va letta per capire a chi si sta riferendo, visto che non lo dice apertamente. Non è che non parla apertamente perché gli manca coraggio, ma perché, in generale, non può presentarsi per quello che non è. In  molti scritti e convegni di RdC ci sono soggetti che si dannano nel farfugliare e bofonchiare che vogliono la rivoluzione,  e per questo si fanno chiamare comunisti e contemporaneamente dicono che la rivoluzione non si può fare, cioè dicono contemporaneamente una cosa e il suo contrario. Questo è un cascame della politica dei gesuiti, che da cinque secoli si addestrano nell’arte di esercitare il potere in modo indiretto, e a negare scienza ed evidenza, dal tempo in cui bruciarono Giordano Bruno e costrinsero Galilei a negare che la terra si muove sotto minaccia di tortura e morte. 
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera dell'ambasciatore in Italia della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
La lettera si riferisce ad una assai poco commendevole vicenda italica, tipica di un modo di "far politica" che ha nulla a che vedere con la solidarietà internazionalista e molto con l'ansia di apparire, individuale o di microgruppi.
Qui l’autore parla di individui senza dire il nome, e di collettivi che, dice, sono molto piccoli. Vedremo poi che l’ambasciatore si riferisce alla Rete Caracas ChiAma di Napoli, ma questo che scrive qui dice che si tratta di una cosa tipica, e chiunque potrebbe pensare che magari il tipo di cui si parla sei tu che stai leggendo.
Pure l’“ansia di apparire” potrebbe riguardare tutti, e invece no: non riguarda i membri del (nuovo)Partito comunista italiano, per le ragioni spiegate in nota.[4]
La forma, poi, compagni di RdC, non è da rivoluzionari: provate a pensare frasi come “assai poco commendevole vicenda italica” sulla bocca di rivoluzionari veri, quale fu, ad esempio, Chávez, che tutti lodano. Forse a Gramsci capitò di parlare così, ma perché era in galera, e gli serviva usare frasi contorte per farsi capire da chi di dovere, e non dai censori fascisti. Ma in effetti questo scritto su Contropiano, più che contorto, è affettato, da piccolo salotto borghese.[5]
E' più che ovvio, infatti, che nessun soggetto italiano possa pretendere la "rappresentatività unica" dell'attività solidale nei confronti di un paese aggredito dall'imperialismo statunitense. Ed è altrettanto ovvio che qualsiasi forzatura – involontaria o peggio ancora volontaria – dell'unità nella solidarietà non può che danneggiare gli interessi del paese cui viene espressa.
Bisogna fare un bilancio del lavoro della Rete CaracasChiAma di Napoli negli ultimi anni. Un lavoro non si giudica da fatti immediati. Ecco che questa vicenda, questa lettera dell’ambasciatore che i dirigenti della RdC diffondono con la premessa che sta a lato, ci dà occasione di farlo. Dopo il bilancio si può decidere se è stato fatto o meno un buon lavoro. Dopo un esame dell’attività di un medico, posso decidere se farmi visitare e curare da lui o da un altro. Nessun medico pretende di essere l’unico, ma ci sono medici che curano e medici che lo fanno peggio, o che non lo fanno, e così è in qualsiasi attività umana, inclusa l’attività della solidarietà internazionale. I risultati sono ciò che conta. Così deve essere anche nell’azione politica: si viene giudicati da quello che si fa, non da quello che si dice o addirittura da quello che si pensa.
Nella solidarietà internazionalista, infatti, al centro di tutto sta l'interesse del popolo e della rappresentanza politica che si è liberamente scelto. Nessuno "straniero" può pretendere di anteporre le proprie visioni, ambizioni, ansie di protagonismo.
La solidarietà internazionalista riguarda non un popolo, ma almeno due, che sono tra di loro reciprocamente solidali. Nessun esponente del movimento rivoluzionario di un paese può interferire con il processo rivoluzionario in corso in un altro paese, e con chi lo guida, e questo è un principio universale. È invece obbligatorio contrastare tesi sbagliate che riguardano principi universali della teoria rivoluzionaria, in qualsiasi paese vengano enunciate e da qualsiasi partito vengano espresse. È altrettanto obbligatorio per ogni organismo comunista di un paese contrastare altre forze del suo paese che tra le masse popolari del suo paese diffondono diversione e confusione in tutti i fronti della pratica rivoluzionaria, incluso quello della solidarietà internazionalista. Dirigenti della RdC su Gramsci hanno detto il falso, in un loro Forum dello scorso dicembre a Roma, e Luciano Vasapollo in Venezuela e probabilmente anche altrove, scrive il falso.
Sappiamo da sempre che, purtroppo, il terreno della solidarietà internazionalista può diventare invece un "campo ambito" per individui o microsoggetti che poco hanno da dire o da fare nel blocco sociale del proprio paese. O anche, in qualche caso, per soggetti assai poco raccomandabili.

Poco raccomandabili! In Italia ci si garantiscono privilegi, salti di carriera o a volte anche solo una occupazione non per meriti, come nelle società borghesi normali, ma per raccomandazione. Anche questo è chiaramente indizio del persistere del potere feudale, dove avanza chi è amico del re o del papa, ed è conferma del carattere particolare del regime del nostro paese, sintetizzato nel termine “Repubblica Pontificia”.[6] Si trova un potente che ci raccomandi presso i suoi amici potenti,  e che ci trovi un posto di lavoro, una casa, un posto in ospedale, oppure una carica, un posto all’università, in un sindacato, in un partito, in parlamento. Non conta il merito, in Italia, ma la raccomandazione. Posti di responsabilità, in Italia, sono occupati da imbecilli, avventurieri, gente in malafede, sciacalli, pervertiti e criminali di ogni varietà e sesso. Dire che uno è poco raccomandabile, in un sistema del genere, è un titolo d’onore, nel senso che non ha amici potenti che lo raccomandino, in un paese dove i più potenti sono la Chiesa di Roma e i suoi funzionari.
Come sempre, non entriamo in polemiche inutili, o addirittura dannose per una Rivoluzione che difendiamo, come in questo caso. Ogni lettore, ogni compagno, ogni attivista internazionalista, ha qui un gran numero di spunti su cui riflettere.
Come sempre, non ti assumi la responsabilità della critica aperta, ma tiri il sasso e nascondi la mano. Andiamo a vedere di quali spunti stai parlando. Esaminiamo la lettera già citata.[7]

La lettera dell’ambasciatore

Riesce difficile comprendere la lettera dell’ambasciatore per gran parte dei dettagli, che sono noti solo agli addetti. E’ vero che è una lettera aperta, ma entro certi limiti, per determinati referenti e per determinati scopi. Non è una lettera da diffondere, come hanno fatto sul sito di Contropiano, letto da molti soggetti che non hanno elementi sufficienti per una analisi concreta della materia e molti nemmeno interesse alla materia, a meno che non gliela si spieghi bene, e non siano mostrati i nessi tra questo e gli interessi e le aspirazioni delle masse popolari del nostro paese. A chi ha preso l’iniziativa di diffondere la lettera dell’ambasciatore ancora manca il modo di pensare e di agire necessario a chi si propone di trasformare il nostro paese e il mondo, e in mancanza di questo pensa e agisce al vecchio modo, dei politicanti borghesi, dei revisionisti moderni alla Togliatti, e infine dei gesuiti. Tu che scrivi su Contropiano non spieghi nulla, ma inviti ciascuno a trarre “spunti”, come fanno certi “consiglieri perfidi” (come il serpente Sir Biss nel Robin Hood di Walt Disney) e quindi alimenti il tirare conclusioni superficiali, la maldicenza, la malevolenza, l’ipocrisia che da secoli impestano l’aria in un paese ancora oggi obbligato a mantenere un signore feudale come il papa con la sua corte, e a inginocchiarsi di fronte a loro.
Invitiamo a leggere la lettera dell’ambasciatore, ormai diffusa urbi et orbi dal sito citato, e invitiamo chiunque sia interessato alla materia  e sia onesto a dirci quali “spunti” ne trae, cosa ne capisce, in che senso lo riguarda.
Si comprende che è una lettera in cui
  • 1.     si tratta dei rapporti interni nel corpo diplomatico della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia,
  • 2.     si spiega che l’azione di solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana è bene si estenda oltre gli ambiti in cui finora si è sviluppata.

Quanto al primo punto, non spetta ad alcuna forza politica in Italia o altrove di interferire o commentare. Chiunque lo faccia, esplicitamente o sottobanco, o fa una cosa stupida o è in malafede.
Quanto al secondo punto, chiunque non può che essere d’accordo. Se finora la solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana ha avuto alcuni punti forti, è bene che d’ora in poi essa si estenda oltre, nell’intero territorio nazionale. Diciamo di più: questo già è avvenuto, con l’opera svolta in Puglia e in Romagna. Si può fare anche meglio. Per farlo, è utile un bilancio del lavoro svolto dalla Rete CaracasChiAma, una verifica di quanto è stato fatto di positivo e di quali sono stati i limiti, in modo da rispondere a quanto l’ambasciatore dice, e cioè di fare iniziative anche in Toscana, a Milano, a Trieste e dappertutto. Si tratta in particolare di comprendere quali sono stati gli elementi grazie ai quali la rete è riuscita a estendersi sul lato orientale del paese, in Puglia e in Romagna, e utilizzare quegli elementi per estendersi oltre. Sicuramente, per quanto abbiamo sperimentato nella pratica, il nodo napoletano della Rete è stato un punto propulsivo dell’estensione della solidarietà a livello nazionale, e
  • 1.     riteniamo che questa capacità propulsiva vada coltivata e continui a dare frutti e
  • 2.     contribuisca in questo modo all'opera dell’Ambasciata  per estendere la solidarietà all’intero paese.
Noi

Noi, come detto sopra, coltiviamo da diversi anni relazioni con i rappresentanti della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Come Commissione Gramsci del Partito dei CARC consideriamo punto di partenza l’iniziativa che tenemmo all’ex Asilo Filangieri di Napoli nel dicembre 2014, cui presero parte Alfredo Viloria per l’Ambasciata, la Console di Napoli e Indira Pineda, operatrice al Consolato di Napoli. Di seguito il nostro partito ha preso parte a tutti gli incontri di solidarietà della Rete Caracas Chiama, a Napoli, dove abbiamo radici forti e una buona capacità di estensione, quindi a Roma, e anche in Puglia e fino a Ravenna, dove sedi non ne abbiamo. Siamo stati sempre per una estensione della solidarietà oltre gli ambiti di partenza, e perciò abbiamo mobilitato compagni del Partito oltre i luoghi di appartenenza, sempre però tenendo conto che bisogna rafforzare gli ambiti di partenza per arrivare lontano. Per quanto abbiamo visto in questi anni l’attività della solidarietà verso il Venezuela ha sempre avuto i suoi punti di forza a Roma e Napoli.  Per quanto siamo intervenuti, abbiamo sperimentato come effettivamente l’unità si costruisce. La si costruisce allo stesso modo in cui si fa in Venezuela, e cioè legando chi si assume responsabilità politica, responsabilità di direzione, alle masse popolari che dirige, educandole a dirigersi e a diventare capaci di dirigersi da sé. Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana significa quindi portare questa esperienza nelle fabbriche, come all’ILVA di Taranto, tra i lavoratori portuali in lotta, nei luoghi occupati, come l’ex OPG di Napoli e lil CSOA Terra Rossa di Lecce, nei luoghi dove si lotta per i diritti degli immigrati, dei giovani, delle donne, per un ambiente sano, nelle scuole dove insegniamo e impariamo a pensare e ad agire come donne e uomini nuovi.
Ben vengano tutti, dalle esperienze politiche più disparate, a parte i fascisti dichiarati,  i sostenitori degli imperialisti, e i nemici della Rivoluzione Bolivariana come certi anarchici e trotskisti che abbiamo incrociato a Firenze e in altre città d’Italia quando abbiamo proposto iniziative di solidarietà, e abbiamo dovuto ascoltare denigrazioni nei confronti della Rivoluzione e di Chávez, allora ancora fisicamente in vita. Ben vengano anche gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, il cui portavoce toscano è venuto a Firenze a una iniziativa politica del partito dei CARC a dichiarare la loro solidarietà con il Venezuela e con tutti i popoli in lotta contro l’imperialismo. Ben vengano tutti, ma la prima forza del movimento rivoluzionario è nell’unità con le masse popolari, con la classe operaia, con i lavoratori, in ogni paese del mondo.

La rivoluzione in corso.
La rivoluzione non è una cosa che scoppia, ma che si costruisce. Vale per il Venezuela e vale per l’Italia. Chávez interpreta giustamente Gramsci, citandolo in un discorso in cui parla a centinaia di migliaia di persone, e dicendo che “il vecchio muore, ma il nuovo ancora deve terminare di nascere”.[8] Dirigenti di RdC indicono a Roma un Forum dove dicono a una cinquantina di persone che “il vecchio muore, ma il nuovo non può nascere”,  con il che vogliono dire che la rivoluzione è impossibile, che chi dice che non solo è possibile ma è un lavoro in costruzione è un tipo “poco raccomandabile”, e a giustificazione della loro tesi, che la rivoluzione è impossibile, dicono che “si vede”. Duemilacinquecento anni fa un greco disse che il sole è grande come una moneta d’oro, ma di tempo ne è passato e si è capita la differenza tra l’apparenza e la sostanza, anche se capirlo quando si tratta di chi è comunista e chi no resta difficile. Certo in Venezuela prima che si facesse la rivoluzione ci saranno stati molti che dicevano che la rivoluzione in quel paese era impossibile. Ce ne sono dappertutto. C’erano ai tempi di Lenin, durarono a parlare per anni e fino al giorno prima della caduta del Palazzo d’Inverno nel 1917, e ci sono anche qui in Italia. A differenza dei nemici dichiarati della rivoluzione, questi dicono che la vogliono, ma che non è il momento. Sono un problema con cui i comunisti che stanno costruendo la rivoluzione devono fare i conti, come ha fatto Gramsci con Bordiga e come hanno fatto, di volta in volta, Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.
Di sicuro, la costruzione della rivoluzione, il fare in Italia un Governo di Blocco Popolare, il fare dell’Italia un nuovo paese socialista, darà una spinta gigantesca ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo, e la Repubblica Bolivariana ne trarrà un vantaggio almeno pari, ma probabilmente superiore, a quello che trae dalla resistenza della Rivoluzione Cubana. Diversamente, senza progresso della rivoluzione almeno in un paese imperialista, rivoluzioni come quelle a Cuba, in Venezuela, paesi socialisti come la Corea del Nord, lotte antimperialiste come quelle dei popoli arabi e musulmani e degli altri popoli del mondo, guerre popolari come quelle nelle Filippine, in India, in Turchia, avranno molte difficoltà a resistere e avanzare. Per questo il lavoro della costruzione della rivoluzione in un paese imperialista come l’Italia va sostenuto dai comunisti, dai rivoluzionari e dagli imperialisti di tutto il mondo, così come i primi paesi socialisti, con l’URSS in testa, sostennero il primo PCI in tutti i modi quando l’Italia era sotto il fascismo e durante la guerra di Resistenza contro il nazifascismo. Purtroppo alla testa di quel PCI negli anni ’50 dello scorso secolo si misero i revisionisti moderni, che distrussero quanto conquistato, e non portarono il paese alla rivoluzione (su Contropiano hanno scritto qualche anno fa che anche allora “non era il momento”). Abbiamo capito il perché di quel fallimento, e questa volta porteremo l’opera a termine. In questo ci dà forza l’esempio della Rivoluzione Bolivariana, delle masse popolari che la costruiscono, di quelli che la dirigono.

Commissione Gramsci,
1 gennaio 2017





[2] Resistenza, nn. 11-12, novembre dicembre 2016, in novembrehttp://www.carc.it/wp-content/uploads/2016/06/RE11.12-09.pdf
[3] Ibidem.
[4] Questo partito, infatti, ha scoperto che per portare a compimento la rivoluzione socialista anche in un paese imperialista è necessario organizzarsi liberamente, e non sotto il controllo della borghesia imperialista, il nemico che si opera per sconfiggere. È necessario quindi essere una organizzazione clandestina. I membri del (n)PCI non possono quindi avere questa “ansia di apparire”, ma proprio il contrario.
Il (nuovo)Partito comunista italiano è stato costituito nel novembre 2004. Per informazioni, vedi www.nuovopci.it. Molti dei suoi comunicati sono dedicati alla Rivoluzione Bolivariana in Venezuela e a chi le ha dato avvio.
[5] Parlare in modo poco chiaro è in linea, oltre che con la tradizione del papato, con quella inaugurata da Togliatti e altri, che coprivano “le loro reali posizioni con l’uso di un linguaggio oscuro, ambiguo e scarsamente intellegibile” (Alcune divergenze tra il compagno Togliatti e noi, editoriale de Il Quotidiano del Popolo, 31 dicembre 1962, in Opere di Mao Tse tung, ed. Rapporti Sociali, 1994, vol. 19, p. 141, in http://www.nuovopci.it/arcspip/IMG/pdf/19.pdf)

[6] Considerate alcuni degli ultimi presidenti del consiglio, Monti, formato in un liceo classico dei gesuiti, Renzi, classico tipo allevato in parrocchia nella Toscana della ” Chiesa di sinistra”, Gentiloni, nobile feudale, parente di Ottorino Gentiloni, uomo di fiducia di Pio IX, che nel 1913 firmò il patto con cui i cattolici tornarono a votare. Gentiloni fu addirittura maoista, quando andava di moda, ma in tempi recenti è stato descritto come “uno che era renziano prima di Renzi”. Bisogna stare parecchio attenti, dappertutto ma in Italia in particolare, a quelli che si dichiarano di sinistra, comunisti o magari addirittura maoisti.
[7] Vedi sopra, Nota 1.

4 commenti:

  1. “...non è più tempo di quelli che gridano al disastro del capitalismo senza saper o voler indicare una via di uscita dalla crisi realistica, praticabile e costruttiva.” (Resistenza, giugno 2010)

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  2. 23 maggio 2010: viene fondata l'Unione Sindacale di Base (USB) dalla fusione tra SdL Intercategoriale, RdB e parte della CUB. L'USB nasce con i circa 250.000 iscritti provenienti dalle organizzazioni fondatrici[2] e punta a diffondersi in tutti i settori del mondo del lavoro e in tutto il territorio nazionale; l'obiettivo è costruire un'alternativa di massa ai sindacati storici.
    Si sono riuniti a congresso gran parte dei sindacati su cui noi comunisti possiamo e dobbiamo agire (con la linea di massa, con il metodo delle leve, con il metodo della seconda gamba) per farli diventare promotori del movimento per costituire un governo di emergenza delle OO e delle OP, il Governo di Blocco Popolare.
    Una nostra compagna intervista alcuni partecipanti: “A una prospettiva di cambiamento generale della società ci credeva mio nonno, ci credeva mio padre, ci voglio credere anch’io”, dice una delegata della sanità privata di Piacenza, iscritta alle RdB perché delusa da CGIL. Vasapollo, direttore di Proteo e del Centro studi dell’USB nonché dirigente della Rete dei Comunisti, invece mi ha risposto che “non va mischiata la politica con il sindacato, il sindacato deve essere vicino ai lavoratori e alle loro esigenze, non va mischiata la prospettiva della costruzione di una soggettività politica con la costruzione di una soggettività sindacale di classe. Il governo rappresenta un rapporto di forza che c’è in una società, è assurdo pensare al governo d’emergenza nel momento in cui abbiamo un rapporto di forze assolutamente sfavorevole. Lo faranno loro un governo d’emergenza con i loro uomini, i loro tecnici e le loro compatibilità, noi combatteremo anche i loro governi tecnici”. Niente male, eh? Per Vasapollo, che pur si dichiara comunista e marxista, i lavoratori non potrebbero fare altro che opporsi, essere contro, lottare sì, ma per parare i colpi, l’iniziativa è sempre in mano alla borghesia! Eppure Marx diceva tutt’altro: “fino ad oggi i filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo, si tratta ora di cambiarlo”!

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  3. Pubblico la mia lettera all'ambasciatore del Venezuela

    Carissimo Dott. Isaia Rodriguez,
    sa bene che per Lei provo una stima incommensurabile perchè la ritengo un vero rivoluzionario ed è per questo che Le scrivo con la massima sincerità.
    Ho letto la nota di Contropiano ( allegata qui di seguito) , sito web della rete dei comunisti, e sono fortemente indignato; in Italia si dice del " bue che dice cornuto all'asino".
    Da lavoratore proletario non accetto di essere definito settario , opportunista e malato di protagonismo dal Prof. Vasapollo e dalla sua organizzazione che sono campioni di protagonismo e opportunismo( esempio la Sua lettera a Vasapollo!) .
    La solidarietà non a niente a che fare con i lacchè , con gli opportunisti , con i malati di protagonismo e con le spie del cancro imperialista.
    La sede di Napoli per il VI° incontro è stata una proposta delle compagne e dei compagni di Napoli fatta l'ultimo giorno del V° Incontro di Roma,
    successivamente abbiamo discusso la proposta democraticamente sulla mailing list e su WhatsApp.
    Quelli che non hanno scritto sulla mailing list , proponendo una sede diversa da quella di Napoli, probabilmente poi sono venuti in ambasciata da Lei a lamentare
    una mancanza di democrazia ma non confrontarsi e poi lamentarsi non è da compagni ed è proprio questo atteggiamento che divide.
    Le compagne e i compagni della rete Caracas hanno dato dimostrazione nell'arco di questo percorso di solidarietà di aver contribuito anche di tasca propria alla realizzazione di qualsiasi evento solidale in nome dello spirito rivoluzionario di cui la rete è rilevante esempio.
    Mi creda carissimo ambasciatore e vero rivoluzionario, quelli che si comportano in maniera e subdola senza lealtà sono gli stessi che dividono.
    Io e moltissime compagne e compagni siamo lavoratori del terziario con stipendi miseri e famiglie a carico eppure non manchiamo mai, quando il lavoro lo permette, di dare la nostra presenza e la nostra solidarietà , per questo sentirmi chiamare opportunista da un professore universitario , con la moglie professoressa, da un opportunista che è stato incaricato dal rettore fascista della Sapienza ad occuparsi del Sud America, è per me inaccettabile.
    Le invio i migliori auguri per un meraviglioso 2017 e un abbraccio
    Saluti Chavisti
    Roberto Scorzoni

    http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/12/21/settarismo-allitaliana-solo-danni-al-venezuela-087232

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  4. da EmbajadaVenezolanaEnItalia

    Una lettera che, per il suo essere esemplare, merita una traduzione in italiano. Una lettere che si rivolge al prof. Vasapollo, ma non solo.

    Si tratta di una lettera pubblica che ben si adatta a tutti coloro che, in una maniera o in un’altra, mettono in campo comportamenti simili a quelli qui magistralmente descritti dall’Ambasciatore Julián Isaías Rodríguez Díaz.
    ___

    Prof. Luciano Vasapollo
    vasapollo.luciano@virgilio.it

    Prof. Vasapollo,

    Lei ha creato una distanza che non ci fa piacere. Nuovamente un’attitudine personale della sua condotta ha incrinato le relazioni tra lei ed il Venezuela. Il suo individualismo è davvero insopportabile. Nessuna diplomazia può farlo passare inosservato.

    Soprattutto quando ha posto in pericolo la realizzazione dell’atto più importante che si sia portato a termine a Roma in solidarietà con il nostro paese.

    In una prima opportunità lei è riuscito a far posticipare l’atto. In una seconda, ha avuto la presunzione di esercitare la leadership sullo stesso. In una terza non ha occultato le ferite del suo “ego” perché la scelta del luogo è stata realizzata senza la sua partecipazione. In una quarta, la scusa della morte di un funzionario consolare d’Italia in Venezuela, è quasi riuscita ad abortire l’atto pubblico.

    Siamo stati rispettosi delle sue ragioni che l’hanno fatta desistere dal partecipare. Comprendiamo quella relativa all’Università che lei rappresenta e delle altre organizzazioni che lei guida. Ha dato argomenti istituzionali che ammettiamo come validi. Ciò che mai condivideremo con lei è un comunicato di dissociazione, dove testualmente ha dichiarato: “sospesa per lutto la partecipazione alla manifestazione per il Venezuela”.

    Anche se non fosse stata sua intenzione, i movimenti sociali hanno interpretato la sua decisione di non partecipare come un appello che invita gli altri a non prendere parte all’evento. Confusi, sono stati sul punto di non presentarsi all’attività. Ci scusi i termini, ma non è possibile non parlare della solidarietà come un valore. Essa si contrappone all’ansia di apparire, di stare in primo piano e, soprattutto, al debordante e primitivo individualismo privo di qualsiasi pensiero socialista.

    Nell’ambito politico, solidarietà significa accompagnare e servire. Assumere con convinzione il successo di una causa condivisa collettivamente. La solidarietà contrasta con la superbia ed il malinteso orgoglio. In sé, la solidarietà è un valore rivoluzionario che promuove l’unione.

    I poteri forti mondiali avevano scatenato la loro ferocia contro il Venezuela. In quanto obiettivo fondamentale dell’imperialismo. La situazione che si è voluta affrontare era drammatica. Nessun egoismo, con o senza scuse, avrebbe dovuto osare smantellare un atto di solidarietà, che per di più, per gli altri è stato il frutto di uno sforzo immenso per mettere da parte tra voi gli odi reciproci, i rancori personali, le vuote contraddizioni, le vanità e i personalismi portati all’estremo.

    Utilizzo le sue stesse parole: “non è un favore che vogliamo fare al Venezuela…”. Professore, l’internazionalismo è una questione di classe, non di filantropia. I reciproci interessi a lungo termine sono più importanti di quelli individuali. Non è questione di buone intenzioni, è impegno e lealtà cosciente. Non è retorica, ma è la decisione di trionfare insieme per una società giusta e di uguali.

    La solidarietà è un dovere internazionalista. Tale prospettiva di classe si traduce nella difesa ad ogni costo del socialismo. Con essa ciò che si difende non è un nazionalismo, nemmeno una nazionalità, né una cultura specifica, ma il socialismo come patria.

    Professore, ci dispiace, non sarà più invitato ai nostri atti fintanto che lei non porgerà pubblicamente le sue scuse, non a questa Missione Diplomatica, ma ai compagni, suoi e nostri, ai quali lei ha mancato di rispetto con un comportamento poco solidale.
    ___

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