L’8 novembre il Partito dei CARC ha tenuto a Roma il primo
di quattro seminari su Gramsci, sulla concezione comunista del mondo e la
riforma intellettuale e morale che sono il fondamento necessario per costruire
la rivoluzione in Italia. Negli altri tre tratteremo della Guerra Popolare
Rivoluzionaria, quella che Gramsci chiama “guerra di posizione”, della
questione vaticana e della questione meridionale.
È stata una iniziativa di grande interesse. Vi ha
partecipato una giovane studentessa di Caracas, e parlando con lei abbiamo compreso
meglio cosa, in materia di morale e di scienza, unisce l’esperienza
rivoluzionaria del suo paese e quella nostra, e cosa è particolare di ognuna
delle due esperienze. Vi hanno partecipato al completo due famiglie di giovani
dirigenti del nostro partito, e dalla spiegazione di un padre loro abbiamo
compreso come i figli possono diventare educatori di chi li ha generati.
Abbiamo compreso meglio che la concezione comunista del
mondo, quella che Gramsci chiama filosofia, è scienza, che è strumento e arma
per la trasformazione della realtà. Anche con questi seminari di Gramsci che
abbiamo iniziato a fare, a partire dalle grandi città d’Italia, vediamo che le
cose cambiano, che i nodi emergono, che un nuovo modo di comportarsi e di
pensare si impone, a partire da chi vuole costruire la rivoluzione e lo sta
facendo.
È difficile che tutto resti come prima, dopo che abbiamo
trattato collettivamente nei seminari questioni che di solito ciascuno tiene
dentro di sé, come fosse cosa che riguarda solo lui, o lei, questioni di storia
del movimento comunista del nostro paese, questioni della nostra storia
personale. Quando parliamo insieme di questi argomenti molti poi vedono il
corso delle cose, capiscono che possono anche regolarlo, e acquistano così
maggiore serenità e lungimiranza. Si tolgono così di dosso sentimenti di
depressione e rabbia, quelli che Gramsci chiama “irrequietezza” e che descrive
nelle sue forme, una delle quali è l’ipocrisia, il non voler vedere che i
nostri successi e le nostre sconfitte, come dice anche Mao Tse tung, dipendono
da noi e non da altri.
Abbiamo compreso meglio che si è comunisti non per il distintivo
che si porta e per la bandiera che si sventola. Comunisti lo si diventa quanto
più facciamo nostra la scienza per costruire la rivoluzione e quanto più la
applichiamo. La rivoluzione in Italia è una cosa nuova, che nemmeno il partito
di Gramsci è riuscito a fare, ma non è una attività differente da altre, come
il costruire un ponte o un acquedotto, e come ogni attività richiede scienza e
determinazione. Il modo di pensare comune, il modo di comportarsi comune non
servono, perché bisogna fare una rivoluzione, e quindi ci vogliono una scienza
e una morale nuova, radicalmente diversa, a partire dai rivoluzionari, dai
comunisti. Questa è la riforma intellettuale e morale di cui parla la carovana
del nuovo PCI riprendendo il percorso che Gramsci ha indicato, e su questo tema
è intervenuto Vittorio Antonini, militante delle Brigate Rosse, che da poco è
uscito dal carcere dove è stato per 29 anni e tre mesi.
Riforma morale e intellettuale significa cambiare modo di
pensare e comportarsi. Se il modo nostro
è quello di mettere prima le questioni personali (la famiglia, il
lavoro) e dopo le questioni politiche (il nostro impegno per il miglioramento delle relazioni sociali, il
nostro impegno per tutti), cambiare significa rovesciare questo ordine: la
politica viene prima. Questo che può risultare strano nel nostro paese e in
questi tempi, visto che si insegna a ciascuno che è bene occuparsi soprattutto
degli affari propri, cosa che hanno fatto anche quelli che si sono chiamati
comunisti da sessanta anni a questa parte, ma è normale in paesi come la
Palestina, e in molti altri paesi del mondo, dove la lotta politica, per la
liberazione e l’emancipazione viene prima di ogni altra cosa, ed era normale
anche nel primo partito comunista italiano, almeno fino alla Resistenza contro
il fascismo e il nazismo e fino a quando Togliatti, nel 1956, impresse al
partito la svolta che lo fece lentamente degenerare fino alla morte e alla
putrefazione che oggi si esprime in personaggi come Napolitano.,
Anche per lui, dice Vittorio Antonini, era normale mettere
l’impegno per la causa davanti agli interessi personali. L’identità dei
militanti delle Brigate Rosse erano il programma e la strategia
dell’organizzazione. Una compagna del Partito dei CARC aveva esposto un suo
problema, la contraddizione che sperimentava tra il suo desiderio di impegnarsi
integralmente nell’opera della rivoluzione e il desiderio di diventare madre,
sicché Vittorio ha raccontato la sua esperienza, alle luce del principio che
aveva detto.
Lui stava con una compagna che ora vive in Francia. Lei ebbe
due aborti durante la militanza nelle B.R.. Racconta come lei e lui già
pensavano con affetto al figlio che era in arrivo, ma l’organizzazione le
spiegò che se voleva avere dei figli non poteva stare in Italia. L’organizzazione
l’avrebbe fatta espatriare. Lei scelse di restare, e di non avere figli. Gli
disse poi, quando entrambi si ritrovarono in carcere, che la scelta era stata
dura per lei.
L’intervento di Vittorio è stato quello più significativo
del seminario. Paolo Babini, che aveva introdotto il seminario e lo gestiva, ha
detto che il suo racconto era importante perché faceva sorgere in tutti noi una
domanda: “Noi vogliamo fare nostra la determinazione di chi, come voi, ha messo
la lotta per la causa davanti anche alla propria vita, ma dobbiamo chiederci
perché voi, nonostante foste così determinati, siete stati sconfitti.” Ha
risposto che non basta avere coraggio e determinazione per l’opera che abbiamo
intrapreso, per la costruzione della rivoluzione, ma ci vuole anche scienza.
Qualsiasi cosa si voglia fare, bisogna anche sapere come, e perciò diciamo che
la riforma è morale ma è anche intellettuale. Unendo il comportarsi secondo
norme nuove al pensare in modo nuovo noi vinceremo.
Noi abbiamo bisogno di una concezione comunista del mondo
nuova, cioè di una scienza nuova, perché dobbiamo fare un lavoro mai fatto da
nessuno, cioè fare la rivoluzione in un paese imperialista. Le B.R. furono
carenti in questo. La loro elaborazione scientifica fu inadeguata. La questione
è trattata in dettaglio nel Manifesto
Programma del (nuovo)PCI, a cui il relatore ha fatto riferimento(1).
Partiremo da questi argomenti il 21 dicembre, a Roma, nel
secondo seminario, dove parleremo della Guerra Popolare Rivoluzionaria, la
strategia per fare la rivoluzione che fu scoperta da Mao e di cui Gramsci
scrive nei Quaderni del carcere.
Paolo Babini
NOTE
1. Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed, Rapporti Sociali, Milano, 2008, pp. 145-150,
in http://www.nuovopci.it/scritti/mpnpci/02_01_bilanlottaclasse.html#2-1-3
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