Bisogna studiare, e sostenere la ricerca scientifica,
come si è sempre fatto nel movimento comunista, e come nella Carovana del
(nuovo)PCI facciamo crescendo in destrezza, costruendo luoghi di studio che non
sono le brutte copie delle scuole borghesi, ma centri di ricerca dove tra la
scienza che elaboriamo e quanto si insegna in una università borghese c’è un
abisso. Questa scienza che la Carovana sta elaborando, insegnando e sperimentando
nella lotta di classe degli ultimi trenta anni, per gli elementi avanzati della
classe operaia e delle masse popolari è preziosa come il pane, come avere una
casa, o un posto di lavoro. Se ti dò un pesce è importante, ma se ti insegno a
pescare è decisivo, dice il proverbio.
Promuovendo e organizzando questo
studio la Carovana del (nuovo)PCI si è
riassestata sulla strada del movimento comunista, con una specificità che
riguarda la penisola, e Roma, centro del potere papale. La Chiesa di Roma
combatte la scienza, perché esige la fede. Combatte la scienza fino dai tempi
di Galileo Galilei e Giordano Bruno. Obbliga al pentimento Galilei nel 1633 e
lo riabilita solo nel 1992.
La Carovana del (n)PCI, in questo
2017, arriva a Roma con il patrimonio
scientifico che ha elaborato e sperimentato. Presentiamo il Manifesto Programma
del (nuovo)PCI e iniziamo un corso dove lo spieghiamo riga per riga. Invieremo
indicazioni a breve. Veniamo a presentare il conto dei secoli di ignoranza in
cui i papi di Roma hanno costretto le popolazioni di questa penisola, e
iniziamo a spazzare via, oltre all’ignoranza, il “dire il peccato ma non il
peccatore”, il lanciare il sasso e nascondere la mano", il pentitismo, la falsa
misericordia, la doppia verità e doppia morale e tutta una serie di schifezze e
sudiciume quale sempre si accumula negli angoli nel corso del tempo. Di tutti i papi di questi
secoli, e dei loro prestanome che hanno governato il paese nell’ultimo mezzo
secolo, non ne riabiliteremo alcuno. Sarà un lavoro lungo, ma già a iniziarlo
si respira aria di liberazione, e se le masse popolari ci aiutano, come fecero i
due esseri immortali che aiutarono Yu Kung, finiremo prima del previsto.
La favola di Yu Kung
Un’antica favola
cinese, intitolata Come Yu Kung rimosse le montagne, racconta di un vecchio che
viveva tanto, tanto tempo fa nella Cina settentrionale ed era conosciuto come
il “vecchio matto delle montagne del nord”. La sua casa guardava a sud, ma
davanti alla porta due grandi montagne, Taihang e Wangwu, sbarravano la strada.
Yu Kung decise di spianare, con l’aiuto dei figli, le due montagne a colpi di
zappa. Un altro vecchio, conosciuto come il “vecchio saggio”, quando li vide
all’opera scoppiò in una risata e disse: “Che sciocchezza state facendo! Non
potrete mai, da soli, spianare due montagne così grandi”. Yu Kung rispose: “Io
morirò, ma resteranno i miei figli; moriranno i miei figli, ma resteranno i
nipoti e così le generazioni si susseguiranno all’infinito. Le montagne sono
alte, ma non possono diventare ancora più alte; a ogni colpo di zappa, esse
diverranno più basse. Perché non potremmo spianarle?” Dopo aver così ribattuto
l’opinione sbagliata del vecchio saggio, Yu Kung continuò il suo lavoro un
giorno dopo l’altro, irremovibile nella sua convinzione. Ciò impietosì il Cielo,
il quale inviò sulla terra due esseri immortali che portarono via le montagne
sulle spalle.[1]
Anche noi della Carovana siamo
matti, come Yu Kung. Ce lo hanno detto a Napoli a una assemblea di Rete dei
Comunisti, il 12 gennaio, e lo dice Rizzo, il capo del Partito Comunista detto
“di Rizzo” (visto che non ha altre attribuzioni: non è “italiano”, “internazionale”, “dei lavoratori”, “combattente”, ecc.): “chi oggi dice di volere fare
la rivoluzione socialista o è un matto o è un poliziotto”, dicono. Visto che
noi, a differenza di Rizzo e di massima parte dei dirigenti di RdC, siamo stati
in carcere, siamo stati sotto processo e ancora lo siamo da trenta anni a
questa parte, come potremmo essere poliziotti? Quindi per esclusione, dovremmo
essere, secondo loro, matti.
Non ci sono solo i preti a voler
tenere le masse popolari nell’ignoranza.
Ci sono quelli che dicono che ai
lavoratori e ai lavoratrici interessa difendere i loro interessi immediati, che
per quelli lottano, che quelle lotte noi dobbiamo sostenere, e che è sbagliato parlare
loro di questioni di principio, di questioni ideologiche e che non sono
interessati agli scontri di tipo ideologico. Questa posizione è stata espressa
da Sergio Cararo, direttore di Contropiano,
nell’assemblea promossa da Rete dei Comunisti a Napoli il 12 gennaio
scorso, in cui organismi della Carovana del (nuovo)PCI hanno mostrato che
quelli di Rete dei Comunisti comunisti non sono, visto che dicono che la
rivoluzione socialista è impossibile. Sergio Cararo ha detto che ai lavoratori
di questo che la Carovana del nuovo PCI dice alla sua Rete “nun je ne po’ fregà
de meno”. Di questioni come la rivoluzione, il partito comunista e altro,
Cararo e altri del suo giro pensano debbano trattare gli addetti ai lavori, in
convegni specifici. In realtà, nell’assemblea del 12 gennaio, dove si prevedeva
lo scontro ideologico e politico che poi si è dato, sono venute circa un
centinaio di persone, mentre al Forum indetto con tanto di intellettuali a Roma
sul vecchio che muore e (secondo questa Rete) sul nuovo che non può nascere, a
quanto ci risulta i presenti erano una cinquantina. Questo smentisce
l’affermazione di Cararo, che per il fatto di essere detta in romanesco non per
questo è genuina.
Ci sono quelli che dicono che
studiare si deve, ma intendono con studio quello che si fa nelle scuole
borghesi. Pensano che l’economia, la politica e la filosofia che si insegna
nelle università è scienza, mentre quello che insegna il movimento comunista è
“ideologia”, opinione. Qui si torna a Rete dei Comunisti che, quando fa un
dibattito sul partito, sul comunismo, eccetera, non si rivolge alle forze che
costruiscono la rivoluzione, che costruiscono il partito, nemmeno per
criticarle. Chiamano gli esperti, i professori, come se questi fossero
“tecnici”, al di sopra delle parti.
Ci sono poi quelli che pensano che
studiare non serve perché ne sanno già abbastanza, o perché hanno studiato
nelle università borghesi, o per una loro “grande esperienza di vita”, o per
intuito, eccetera.
Ci sono poi quelli che pensano che
studiare non serve e basta affidarsi a quello che dicono quelli che ne sanno
più di noi, siano essi preti, intellettuali o capi di partito.
Tutti questi soggetti, che sono tra
loro relativamente diversi, sono tutti figli oltre che delle arretratezze del
movimento comunista anche del fatto che in Italia più che altrove il clero ha
cercato di dipingere l’ignoranza come una virtù, magari una cosa divertente e
simpatica, come lo è un bimbo che ancora non ha imparato a parlare. Pensate a
uno che resta al livello mentale di un bimbo a trenta anni, a quaranta anni e
fino alla morte, e vedrete che non è una cosa per niente divertente e
simpatica, come sanno bene quelli che hanno in famiglia parenti incapaci di
autonomia, magari incapaci di pulirsi, di lavarsi, di mangiare da sé.
Ieri come oggi, nelle carceri come
nel fuoco della lotta
Studiare,
conoscere, progettare per trasformare il mondo
Da Resistenza, n. 1, gennaio 2012
“I comunisti si distinguono dagli
altri rivoluzionari perché hanno una comprensione più avanzata delle
condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e su questa base
la spingono sempre in avanti”
(K. Marx e F. Engels)
“La grande lotta dei comunisti non
ha solo due forme (la lotta economica e la lotta politica), … ma tre, perché
accanto a quelle due va posta anche la lotta teorica”
(F. Engels)
“Senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento
rivoluzionario”
(V.I. Lenin)
“Agitatevi, perché avremo bisogno di
tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la
vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”
(A. Gramsci)
“Da dove vengono le idee giuste?
Cadono dal cielo? No. Sono innate? No. Esse provengono dalla pratica sociale, e
solo da questa. Provengono da tre tipi di pratica sociale: la lotta per la
produzione, la lotta di classe e la sperimentazione scientifica. Una volta che
le masse se ne sono impadronite, le idee giuste, caratteristiche della classe
avanzata, si trasformano in una forza materiale capace di trasformare la
società e il mondo”
(Mao Tse-tung).
La concezione del mondo, la
conoscenza del mondo per come è realmente è una questione di lotta di classe.
Imparare la scienza del movimento comunista, assimilarla facendo piazza pulita
del senso comune in cui essa è mischiata con le concezioni proprie della
borghesia e del clero è il primo passo per cambiare il mondo, per promuovere
con coscienza (quindi con successo) la trasformazione del mondo attuale, per
progettare come trasformarlo, per sognare il nostro futuro, costruirlo. La
formazione comunista è questo, serve a questo.
Due esempi
Nelle carceri fasciste. “Appena
giunti a Civitavecchia (…), dopo festose accoglienze, i compagni chiesero
subito di organizzarsi per lo studio. Erano impazienti di iniziare uno studio
regolare. Generalmente i compagni erano giovanissimi d’età e di partito.
Qualcuno era stato arrestato dopo alcuni mesi d’iscrizione e non aveva mail
letto un nostro giornale, tutti erano poi digiuni dei principi più elementari
della nostra dottrina. Cominciammo con l’organizzare il collettivo. Mettemmo
assieme i libretti e facemmo il bilancio preventivo. (…) Decidemmo di fare
inchiesta su tutti i processi e su ogni compagno prima di decidere
dell’inclusione nel collettivo di partito. (…) La direzione del collettivo di
partito fu assunta, in base alle disposizioni della direzione, dal compagno più
responsabile che ero io. (…) Insieme prendemmo una serie di decisioni che
riguardavano la disciplina del camerone. Stabilimmo le ore di studio
individuale nelle quali era obbligatorio il silenzio assoluto. Ogni giorno ci sarebbero
state due ore di studio collettivo. Poiché mancavano i libri, e ci sarebbe
voluto un certo tempo per procurarceli, in un primo periodo aumentammo il tempo
dedicato alle lezioni e alle conferenze. (…) Ogni giorno ero obbligato a fare
lezioni e conferenze e ciò senza materiale, senza la possibilità di prendere
appunti, utilizzando la memoria, l’esperienza e le conoscenze acquisite in
passato. (…) Con l’ausilio di Marcucci e di Roncagli, e grazie ai libri che
eravamo riusciti a ottenere, lo studio prese un ritmo più accelerato. I
progressi si fecero più sensibili. Ognuno di noi si sentiva ogni giorno più
forte, più capace, in grado di rendere di più quale militante dell’avanguardia
comunista. Meraviglioso l’ardore dei giovani. Essi volevano imparare a ogni
costo. Avevano paura di perdere tempo, di non avere il tempo necessario per
farsi una preparazione. Sembrerà incredibile, eppure (…) molti di noi erano più
preoccupati di non avere il tempo necessario per studiare che assillati dal
desiderio di uscire da quel luogo di costrizione e di pena. Credo che solo la
fede proletaria e comunista può fare tali miracoli” (Arturo Colombi, Nelle mani
del nemico, Ed. Rapporti Sociali).
In Cina, nel pieno della Guerra di
resistenza contro il Giappone che aveva invaso in armi il paese (luglio 1937)
lo studio del materialismo dialettico ebbe un notevole sviluppo nel PCC e nel
movimento rivoluzionario cinese. “Perché per cambiare la Cina e il mondo
dobbiamo studiare la dialettica? Perché la dialettica è il sistema delle leggi
più generali che la natura e la società
seguono nel loro sviluppo. Se comprendiamo la dialettica, acquistiamo un’arma
scientifica e nella pratica rivoluzionaria per cambiare la natura e la società
avremo una teoria e un metodo adeguati alla nostra pratica. Anche la nostra
pratica rivoluzionaria è una scienza, una scienza sociale o politica. Se non
comprendiamo la dialettica, condurremo malamente i nostri affari; gli errori
commessi nel corso della rivoluzione sono errori di dialettica. Se comprenderemo
la dialettica, ne ricaveremo grandi benefici: se indagheremo accuratamente sui
movimenti condotti felicemente in porto, constateremo che essi hanno seguito le
leggi della dialettica. Quindi tutti i compagni rivoluzionari, e in particolare
i dirigenti, devono studiare la dialettica Qualcuno dice che vi sono molte
persone che comprendono la dialettica praticamente e che sono anche
materialiste nella pratica; anche se non hanno mail letto libri sulla
dialettica, le cose che fanno sono ben fatte e di fatto queste persone seguono
la dialettica materialista. Quindi non hanno bisogno di studiare la dialettica.
Queste affermazioni sono sbagliate. La dialettica materialista è una scienza
completa e profonda. Anche se è vero che i rivoluzionari che hanno una mentalità
materialista e dialettica imparano molta dialettica dalla pratica, quello che
essi imparano non è sistematico e manca della completezza e della profondità
che la dialettica materialista ha già raggiunto. Quindi non riescono a vedere
l’esito a lungo termine di un movimento, non riescono ad analizzare un processo
complesso di sviluppo, non riescono a cogliere importanti nessi politici e non
riescono a maneggiare i vari aspetti del lavoro rivoluzionario. Quindi in
realtà anch’essi hanno bisogno di studiare la dialettica” (Mao Tse-tung,
Materialismo dialettico, in Opere-vol. 5, Ed. Rapporti Sociali). E’ per le
lezioni tenute all’Università politica e militare antigiapponese di Yenan, che
Mao redasse gli scritti filosofici Materialismo dialettico, Sulla pratica e
Sulla contraddizione.
[1]
Mao Tse tung, Opere, Ed. Rapporti
Sociali, Milano, vol. 9, pp. 179-180, in http://www.nuovopci.it/arcspip/articleb2a0.html
e in http://www.bibliotecamarxista.org/Mao/com%20yu%20kung%20rim%20mont.htm
Scoprire la verità attraverso la pratica, e mediante la pratica confermare e sviluppare la verità. Mao, sulla pratica.
RispondiEliminaL'assemblea del 12 gennaio, ci ha insegnato che alcune forze cosiddette comuniste (RdC e LCC), per mantenere l loro prestigio tra le messe, con le loro tesi tentano di mantenere le masse ignoranti. Essi dichiarano o meglio hanno affermato che non c'e niente di nuovo, quindi partiamo da zero. Non fanno bilancio, del passato e se lo fanno dicono che è stato un "macello" molti di questi condottieri a parole dicono d essere comunisti, ma nei fatti si sono rassegnati ad un mediocre destino, speranzosi d avere un posto alla corte degli impermalisti.Sconfitti sono loro, i proletari a Napoli negli ultimi 30 anni hanno dimostrato il contrario, hanno combattuto contro la borghesia, e la loro rassegnazione portata nei movimenti di lotta. Noi del Movimento dei disoccupati abbiamo seguito, i compagni/e che non hanno abiurato, che anche tra le galere, ci hanno aperto la porta e abbiamo seguito la luce. La forza di una linea politica sta nel rinnovarsi in uomini nuovi, questo è stato ed è il patrimonio che ha raccolto la carovana del nuovo PCI,dove il proletariato sotto la sua direzione non si sente rassegnato e vuole aprire un nuovo e vittorioso cammino. Quello che ho imparato dall'assemblea, è la conferma che gli autori ( RdC che il vecchio muore e il nuovo non può nascere) e affini, tentano di mantenere il loro prestigio tra le masse alimentando il loro vecchio, ostacolando la crescita del nuovo. RdC non hanno una concezione del mondo e una mentalità materialista - dialettica, per loro tutto è immobile, non riescono a vedere il movimento, le cause del movimento. L.Sito