Gramsci è vivo. In che
senso lo spiega lui stesso in una lettera alla cognata del 24 luglio 1933 dove
racconta di avere parlato per una intera notte “dell’immortalità dell’anima in
un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza
delle nostre azioni utili e necessarie e come un incorporarsi di esse,
all’infuori della nostra volontà, al processo storico universale […]”. Un
materialista obietterebbe schiettamente che chi è morto è morto, ma, dice Marx,
il difetto di ogni materialismo fino a oggi “è che l'oggetto, il reale, il
sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non
come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente.”
(Marx, Tesi su Feuerbach). È il fare che è reale, dice Marx. La realtà di
questo fare si incorpora nel processo storico universale, dice Gramsci, nel
senso che diventa parte integrante e organica del movimento comunista, perché
il movimento comunista è il “processo storico universale”, perché il senso
della storia procede verso la realizzazione del comunismo. Riprendere Gramsci,
allora, gli obiettivi da questi perseguiti, i metodi indicati, capirli,
(ri)pensarli alla luce dell’attuale crisi generale del capitalismo, significa
guadagnarsi a coscienza pratica del processo storico di trasformazione
rivoluzionaria, avanzare nella costruzione di una rivoluzione che non scoppia
se non la si costruisce, far rinascere, più che recuperare, la partitura
terorica e pratica della rivoluzione, inedita, nei paesi imperialisti. È in
questo processo che Gramsci vive, rinasce. Perciò si parla non semplicemente di
recupero, ma di rinascita di Gramsci.
E il parto – è noto – è cosa delicata oltre che gloriosa. La
mano che guida la testa del nascituro ad affacciarsi al mondo vuole scienza e
sensibilità innanzitutto. Fuor di metafora, gli strumenti che Gramsci fornisce
sono indispensabili. Iniziamo a utilizzarli. È “La rinascita di Gramsci”, per l’appunto.