UN COMPONENTE DELLA COMMISSIONE GRAMSCI DEL PARTITO DEI CARC E’ ANDATO A ROMA, CITTA’ COMPLICATA, DOVE SI INCIAMPA IN ENIGMI. AIUTATE IL COMPAGNO A RISOLVERLI. GRAZIE.
"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)
martedì 31 gennaio 2017
INSEGNAMENTI PER COSTRUIRE LA RIVOLUZIONE PER CHI E’ ALL’OPERA, PER CHI CI SI STA METTENDO E PER GLI INTERESSATI
Pubblichiamo un documento di Ermanno Marini per il Centro di Formazione del Partito dei CARC, tratto dall’Agenzia Stampa del Partito, che ha molti elementi utili al lavoro in corso per costruire la rivoluzione. Due sono gli insegnamenti importanti che il compagno segnala. Ne segnaliamo un altro: Stalin scrive che la rivoluzione comincia nel 1905, e questo ci fa pensare alla rivoluzione come un processo, e non come un evento isolato, alla rivoluzione che si costruisce e che quindi non è uno scoppio che si attende.
Il compagno scrive inoltre che il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre non ha da essere una “commemorazione vuota”, cosa che abbiamo sentito dire anche al convegno di Eurostop a Roma il 28 gennaio: Sergio Cararo di Rete dei Comunisti ha detto molte cose, che intendiamo segnalare in un resoconto sulla iniziativa, e tra queste ha detto che la prospettiva socialista non è un elemento per alimentare nostalgie.
Infine, qualcuno ricorda la domenica di sangue di Derry, in Irlanda, nel 1972, quando gli inglesi uccisero 14 persone a freddo, anche perché l’evento è celebrato nella canzone degli U2 “Bloody Sunday”. Il passaggio qui riportato dal libro di Stalin ci rammenta una domenica di sangue di inizio secolo, da cui ebbe inizio la rivoluzione di cui celebriamo il centenario e che ha cambiato il mondo.
Commissione Gramsci
A chi oggi aspira al comunismo, a chi vuole cambiare il corso delle cose.
L’umanità è arrivata a un punto che la possibilità di assicurare a tutti illimitatamente quanto serve per vivere dignitosamente provoca fame, obesità, esuberi, lavoratori spremuti all’osso, inquinamento globale: il senso della vita consiste nel far fronte a questi problemi, cioè nel partecipare alla lotta di classe.
La battaglia contro il nuovo CCNL, quella contro la morte lenta della Cevital di Piombino, della SANAC di Massa, dell'AST di Terni e di altre centinaia di aziende nel nostro Paese: ogni lotta spontanea può essere una scuola di comunismo se sappiamo “dove farla andare”, se è un passo nella costruzione della rivoluzione socialista.
Il centenario della Rivoluzione D'ottobre non deve essere una “commemorazione vuota” ma uno strumento utile all'azione.
In queste prime settimane del 2017 il Partito dei CARC ha cominciato a promuovere iniziative culturali in tutto il Paese sull'anniversario della rivoluzione d'Ottobre e nella seconda parte del 2017 concentreremo ancor di più le nostre forze per fare di questa celebrazione uno strumento utile alla costruzione della rivoluzione socialista nel nostro Paese.
A tal proposito mi sono imbattuto in alcune pagine esemplari di “Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell'Unione Sovietica” di Stalin. Stiamo parlando della ricostruzione storica e logica del processo rivoluzionario in Russia, dai primi gruppi di emancipazione dal lavoro del 1883 passando per presa del potere del 1917.
Le pagine di cui voglio trattare sono utili perché in esse raccogliamo due insegnamenti importanti:
1. che la rivoluzione socialista la fanno le masse popolari con alla testa la sua classe dirigente, la classe operaia,
2. che i comunisti incanalano il movimento della classe operaia e delle masse popolari facendo della pratica quotidiana la principale scuola di comunismo.
Entriamo nel vivo.
“Il 3 gennaio 1905, gli operai della grande officina Putilov di Pietroburgo entrarono in sciopero, in seguito ai licenziamenti di quattro loro compagni di lavoro, e furono sostenuti da altre fabbriche e officine di Pietroburgo. Lo sciopero divenne generale. Il governo dello zar decise di soffocare fin dall'inizio il movimento fattosi minaccioso.
Già nel 1904, cioè prima dello sciopero alla Putilov, la polizia aveva creato con la complicità di un provocatore, il pope Gapon, una propria organizzazione tra gli operai, la “Riunione degli operai russi d'officina”. Questa organizzazione aveva costituito le sue sezioni in tutti i rioni di Pietroburgo. Scoppiato lo sciopero, il pope Gapon, nelle assemblee della sua associazione, propose un piano provocatorio: il 9 gennaio tutti gli operai si sarebbero dovuti recare in processione pacifica al Palazzo d'Inverno, portando stendardi religiosi e ritratti dello zar, per consegnargli una petizione che esponesse i loro bisogni. Lo zar - diceva Gapon- si sarebbe mostrato al popolo, avrebbe ascoltato le sue rivendicazioni e le avrebbe soddisfatte. Gapon si proponeva di aiutare l'Okhrana zarista: provocare un eccidio e soffocare nel sangue il movimento. Ma il piano poliziesco si ritorse contro il governo dello zar.
La petizione venne discussa nelle riunioni operaie, che vi apportarono emendamenti e modificazioni. E in quelle riunioni i bolscevichi presero anch'essi la parola, senza dichiararsi apertamente tali. Essi fecero sì che nella petizione fossero rivendicate anche la libertà di parole e di stampa, la libertà sindacale, la convocazione di un'Assemblea costituente destinata a modificare il regime politico della Russia, l'eguaglianza di tutti di fronte alle leggi, la separazione della Chiesa dallo Stato, la cessazione della guerra, le 8 ore di lavoro, la terra ai contadini.
In quelle riunioni i bolscevichi dimostravano agli operai che la libertà non si ottiene con qualche petizione allo zar, ma si conquista con le armi alla mano. I bolscevichi mettevano in guardia gli operai, li avvertivano che si stava preparando il loro eccidio. Ma non riuscirono a impedire la processione al Palazzo d'Inverno. Moltissimi operai credevano ancora che lo zar li avrebbe aiutati. Il movimento trascinava irresistibilmente le masse.
La petizione diceva:
“Noi, operai di Pietroburgo, le nostre donne, i nostri bambini e i nostri vecchi genitori privi di qualsiasi aiuto, siamo venuti a chiederti, Sovrano, giustizia e protezione. Noi siamo ridotti all'estrema miseria, siamo oppressi, siamo sottoposti a un lavoro superiore alle nostre forze, siamo maltrattati, non siamo considerati come uomini... Noi abbiamo sofferto in silenzio, ma ci spingono sempre più in basso, nel baratro della miseria, della servitù, dell'ignoranza; il dispotismo e l'arbitrio ci soffocano... La nostra pazienza è esaurita, Per noi è giunto quel terribile momento in cui meglio è morire che soffrire ancora questi insopportabili tormenti...”.
Il 9 gennaio 1905, all'alba, gli operai si avviarono al Palazzo d'Inverno dove si trovava allora lo zar. Gli operai si recavano dallo zar con le loro famiglie: donne, bimbi e vecchi; portavano ritratti dello zar e stendardi religiosi, cantavano preghiere ed erano inermi. Più di 140000 persone erano scese nelle strade.
Ma Nicola II fece loro ostile accoglienza. Ordinò di sparare sugli operai inermi. Più di mille operai caddero quel giorno uccisi dalle truppe dello zar, più di duemila furono i feriti. Le strade di Pietroburgo erano macchiate di sangue operaio. I bolscevichi avevano marciato con gli operai e molti furono uccisi o arrestati. Nelle stesse strade, inondate dal sangue operaio, essi spiegavano agli operai chi era il responsabile di quella spaventosa strage e come si doveva lottare contro di lui.
Da allora, il 9 gennaio venne chiamato “la domenica di sangue”. Quel giorno gli operai avevano ricevuto una lezione tremenda. Ciò che si era spento a fucilate in quel giorno era la fiducia degli operai nello zar. Da quel giorno essi compresero che solo con la lotta potevano conquistare i loro diritti. Nella sera stessa del 9 gennaio si innalzarono barricate nei quartieri operai. Gli operai dicevano: “Lo zar ce le ha date, ma noi gliele renderemo!”.
La notizia tremenda della strage sanguinosa perpetrata dallo zar si diffuse fulminea ovunque. La classe operaia, tutto il paese fremettero di indignazione e di orrore, non vi fu città ove gli operai non scioperassero in segno di protesta contro il delitto dello zar e non formulassero rivendicazioni politiche. Gli operai scendevano in piazza al grido di “Abbasso l'autocrazia”. Nel gennaio fu raggiunto il numero altissimo di 440 mila scioperanti. In un mese scioperarono più operai che nei dieci anni precedenti. La marea operaia ingrossava e saliva.
In Russia era cominciata la rivoluzione” [“Storia del Partito Comunista (bolscevico) dell'Unione Sovietica” di Stalin].
Al bando il disfattismo e l'attendismo, le masse popolari non è che partecipano alla rivoluzione socialista man mano che eleviamo la loro coscienza: le masse elevano la loro coscienza man mano che le portiamo a partecipare alla rivoluzione socialista e facciamo di ogni iniziativa una scuola di comunismo.
Per il Centro di Formazione del Partito dei CARC,
Ermanno Marini
venerdì 27 gennaio 2017
A CHI GIOVA IL TENTATIVO DI CACCIARE IL PARTITO DEI CARC DA VILLA MEDUSA?
LA COMMISSIONE GRAMSCI DEL PARTITO DEI CARC STA PROMUOVENDO E SEGUENDO IL DIBATTITO IN CORSO IN CAMPANIA TRA VARI SOGGETTI POLITICI, UNO DEI QUALI E’ LA FEDERAZIONE CAMPANA DEL PARTITO. PUBBLICHIAMO QUI UN SUO ULTIMO COMUNICATO, INVITANDO A INTERVENIRE TUTTI GLI INTERESSATI, COLLETTIVI E SINGOLI, A PARTECIPARE , OLTRE CHE TRAMITE I MEZZI INFORMATICI, ANCHE NELLE INIZIATIVE DI DISCUSSIONE COLLETTIVA COME QUELLA DEL 29 GENNAIO DI CUI QUESTO DOCUMENTO DA’ INFORMAZIONE.
COMMISSIONE GRAMSCI
--------------------------------------------------------
Partito dei Comitati di Appoggio alla
Resistenza - per il Comunismo (P.CARC)
Segreteria Federale Campania (SFC)
Via Battistello Caracciolo, 15 – 80100 Napoli – Tel.
3496631080
Sul
tentativo di estromettere il Partito dei CARC da Villa Medusa occupata.
Comunicato
della Segreteria Federale Campania.
Napoli, 27 gennaio 2017
A CHI GIOVA
IL TENTATIVO DI CACCIARE IL PARTITO DEI CARC DA VILLA MEDUSA?
Un episodio grave che ostacola
la costruzione di un fronte comune e alimenta la “guerra tra bande”
A distanza di poco più di 24 ore
dall'assemblea di gestione dell'occupazione di Villa Medusa ci troviamo a
riflettere su quanto di grave è avvenuto l’altro ieri sera, quando i compagni del
Partito dei CARC che partecipavano a quell’assemblea sono stati invitati ad
abbandonare i locali dell’occupazione poiché esponenti di un “partito” politico
e tacciati di essere persone non gradite. Ci troviamo, così, a ragionare sulla
necessità di affrontare il dibattito franco aperto sulle ragioni di ciò che è
avvenuto e di come si sia giunti a questo punto.
Il Partito dei CARC ha occupato Villa
Medusa nel 2012 e ben presto si sono uniti a noi le compagne e i compagni del
Laboratorio politico Iskra. Successivamente, l'associazione degli anziani
rimasta orfana di un luogo fisico dove potersi incontrare e trascorrere tempo
ricreativo è stata giustamente ospitata in Villa, diventandone parte integrante.
Da allora diverse sono state le iniziative messe in campo e le attività si sono
moltiplicate: con i bambini e con i loro stessi genitori, con i giovani rapper
del territorio, con i disoccupati, con gli studenti, con gli attivisti
ambientali, con i mercatini bio e la palestra popolare, ecc. Mentre la lotta per
riconquistare alla collettività quel palazzo andava avanti, dentro e fuori
Villa Medusa, con manifestazioni e con incontri al Comune di Napoli, superando
le difficoltà e i bastoni tra le ruote che la X Municipalità, feudo (all'epoca
ancora) del PD, metteva all'occupazione. In Villa si sono tenuti dibattiti
importanti: sulla situazione generale del mondo e del paese, sul ruolo dei
comunisti per trasformare lo stato di cose presente, su parte del bilancio che
i comunisti traggono dalla loro storia, si è avviata l'assemblea popolare di
Bagnoli contro il Commissariamento, si è studiato e si studia, non solo perché
ora c'è un'aula studio e la biblioteca, ma perché sono stati promossi più di un
corso di studio collettivo sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI e iniziative
di lettura pubblica di materiali politici, documenti, articoli. Sono state
fatte iniziative di autofinanziamento delle organizzazioni comuniste e delle
associazioni del territorio. Si è contribuito anche a sloggiare il PD dalla
Municipalità ed alla elezione di giovani compagni espressione delle lotte sociali
del territorio come Diego Civitillo prima, oggi Presidente della Municipalità e
la nomina di Gianni Grilli poi. Insomma una politica attiva e negli interessi
delle masse popolari!
Il Partito dei CARC ha dato un
significativo contributo all'avvio di tutto questo e fin dal 2012, dall'occupazione
di quell'immobile, usufruiva di una stanza per conservare materiale di studio e
di divulgazione della concezione comunista del mondo. Poco prima di morire, il
nostro compagno Vittorio Agnino aveva portato in Villa una sua personale
collezione di riviste politiche d'epoca per metterle a disposizione della
biblioteca popolare e dare avvio al processo di costruzione di un centro di
documentazione. Materiale, poco o molto costoso non fa differenza, che
sicuramente è prezioso per chi, come il nostro Partito, non riceve
finanziamenti né da padroni né da enti pubblici o statali. Un Partito che tutto
quanto fa lo fa in pieno autofinanziamento ed autorganizzazione, per metterlo a disposizione delle masse popolari.
Sempre.
Ecco, francamente troviamo singolare
che a distanza di quasi 5 anni, solo l’altra sera, ci venga detto che la nostra
presenza, la presenza del Partito dei CARC, non è gradita perché siamo un “partito”
politico, come se fossimo un partito qualsiasi, uguale a quelli che hanno
speculato sulla pelle degli operai e delle masse popolari o che parassitariamente
drenano soldi pubblici! Soprattutto, ci pare quanto meno ipocrita che proprio
ora si tenti di metterci alla porta perché avremmo pubblicato in rete, sul blog
della Commissione Gramsci del Partito dei CARC, http://rinascitadigramsci.blogspot.it)
un appuntamento di discussione politica sulla lotta ideologica in corso nel
movimento alle concezioni che la sinistra borghese diffonde, lotta che è stata
oggetto dell'assemblea pubblica del 12 gennaio scorso tenutasi nei locali
dell'ex Asilo Filangeri e promossa dalla Rete dei Comunisti. Singolare e ipocrita
poiché da quando Villa Medusa è stata aperta, il Partito dei CARC ha sede anche
lì, perché il Partito dei CARC ha aperto Villa Medusa!
È vero, dal 2015 abbiamo iniziato a
scontare delle difficoltà organizzative e di partecipazione alle attività collettive
della Villa per via di una serie di diserzioni e di fuoriuscite dal Partito, ma
dal 2016 stiamo lavorando alla riorganizzazione delle nostre forze su quel territorio, al fine di contribuire, di più e
meglio, alla lotta di classe che ha toccato punte particolarmente importanti
proprio a Bagnoli e, nello specifico, nella battaglia contro il
commissariamento. Alla fine di quest'anno abbiamo perso la colonna portante del
Partito sul campo: la malattia prima e la morte poi del compagno Vittorio Agnino
ci ha costretto ad accelerare questo processo di riorganizzazione.
Ci lascia, però, quantomeno basiti che, a poche settimane dai funerali
del nostro compagno che proprio in Villa ha speso la sua attività fino
all'ultimo giorno, si tenti di buttarci fuori affermando che Vittorio
partecipava alle attività della Villa a titolo individuale e non a nome e per
conto del Partito tutto! Sia ben chiaro, Vittorio, schierato sempre dalla parte
del proletariato, che mai ha ceduto a lusinghe dei padroni o di troppo facili
personalismi, è stato ed è tutt'oggi un
esempio di militanza comunista e dedizione alla causa, un compagno per il quale
le scelte individuali erano subordinate a quelle del collettivo, le scelte
personali rimesse sempre all’orientamento del Partito. Perché Vittorio, in
Villa, era il Partito!
Così come ci ha amareggiato profondamente quando, una settimana fa, si è
sfondata la porta della nostra sede, quella che Vittorio puliva e ordinava con
cura puntualmente, per poi addurre alla banale scusa di non sapere dove mettere
le riviste politiche che Vittorio stesso aveva lasciato lì. Quanto meno strano,
visto che più d'una stanza a Villa Medusa è completamente vuota.
Francamente, riteniamo questi gesti
provocatori, pretestuosi e offensivi. Gesti di chi cerca lo scontro, più che il
dibattito politico. Gesti di chi il dibattito politico non sa farlo e vi
sostituisce la guerra tra bande. E invece no! Noi non siamo bottegai! Siamo
comunisti o almeno aspiriamo ad esserlo ed a comportarci da tali. Noi
preferiamo parlare chiaro e pubblicamente! Pensiamo che parlar chiaro sia
necessario anche per contrastare le cattive abitudini da preti e cardinali,
quelle della politica da dietro le quinte, da manovratori occulti, quella che
tende trappole e poi accoltella a tradimento.
Diciamo, dunque, chiaramente, che per
noi in Villa Medusa non ci sono nemici, ma compagni. Compagni con cui
condividiamo la prospettiva di costruire un mondo migliore qui ed ora, anche
procedendo per vie diverse e con modi differenti. Compagni con i quali vorremmo
far valere innanzitutto quello che ci unisce piuttosto che le differenze.
Compagni con i quali crediamo sia utile discutere e confrontarsi, fare
dibattito franco e aperto basato sulla critica e sull’autocritica quale metodo
per una crescita collettiva, ragionare della fase e della situazione generale,
della costruzione di programmi comuni e metodi di lavoro, definire linee
generali di sviluppo e linee particolari di intervento. Compagni con i quali
costruire unità d’azione più avanzata e favorire scambio di esperienze.
Compagni con i quali contrastare, incondizionatamente gli attacchi della
repressione. Compagni, in definitiva, con i quali fare fronte comune contro il
comune nemico e contribuire, così, allo sviluppo della mobilitazione rivoluzionaria.
Con la stessa chiarezza diciamo che
il tentativo di estrometterci dagli spazi di Villa Medusa non giova alla
dialettica politica della costruzione di un’alternativa, ma consideriamo che giovi
unicamente al nemico di classe, alla borghesia e probabilmente a chi intende
reggerle la coda. Chiediamo di riflettere su questo.
Noi non faremo un passo indietro! Non
lo faremo, onorando così il lavoro di Vittorio e del Partito. Non lo faremo
perché non arretrare è negli interessi della maggioranza delle masse popolari.
Noi siamo parte integrante di Villa
Medusa ed è secondario chi dei nostri compagni o nostre compagne sta lì a
lavorare, intervenire o a farci riunioni. Noi vogliamo contribuire allo
sviluppo di quella esperienza così come contribuiamo, sempre lealmente e
lottando per superare i nostri limiti, allo sviluppo di tante altre esperienze
di costruzione di un potere nuovo, quello della masse popolari organizzate.
Per questa ragione abbiamo avviato nelle stanze della
Villa, da due mesi circa, i lavori di un gruppo di giovani per la diffusione
della cultura proletaria. Per questa ragione continueremo a farlo, così come
continueremo a promuovere letture collettive dei nostri materiali e corsi di
studio, conferenze e assemblee.
Siamo pronti a ricevere tutte le
critiche del caso per migliorare la nostra pratica. Così come contribuiremo a
riportare la discussione politica nel comitato di gestione ogni volta.
In questo senso ed in questa
prospettiva, condividiamo pienamente quanto affermato dai compagni del
Laboratorio politico Iskra nell'assemblea nazionale del 22 gennaio scorso, a
Roma, per il NO sociale alla riforma costituzionale: “costruire il fronte di
forze che dia continuità alla vittoria del referendum”. Chiediamo a quei
compagni: rispetto a quanto dichiarato, quale posizione assumono su quanto sta
accadendo in Villa Medusa? Come si traduce ciò che hanno affermato a Roma con
l'attività quotidiana in uno spazio liberato assieme ad altri compagni? Se
Iskra ha delle critiche da fare al Partito dei CARC che le faccia, deve farlo!
Le faccia, però, apertamente! Contribuendo anche
così ad alzare il livello di dibattito politico in città! Questo è quello
che chiediamo.
Domenica 29 gennaio saremo ancora a
Villa Medusa. Dalla mattina, per ordinare i giornali lasciati da Vittorio per la biblioteca
popolare e il centro di documentazione e, a partire dalle ore 16.00, per fare una discussione politica, aperta,
pubblica, a cui invitiamo tutti a partecipare. Discuteremo di come non farci
strappare la vittoria referendaria del 4 dicembre scorso, di come dar seguito
alla lotta per l'applicazione delle parti progressiste della Costituzione, del
ruolo dei comunisti in questa fase, della lotta tra linee oggi in corso nel
movimento delle masse popolari e di come contribuire a far avanzare il processo
di costruzione di un'alternativa di governo per i nostri territori, per il paese
intero.
Noi vogliamo vincere! Noi possiamo
vincere! Fare fronte comune, invece che frammentarsi, è una delle condizioni
della vittoria e un passo sostanziale in questa direzione. La direzione che
perseguiamo e invitiamo a perseguire tutti quanti non hanno perso fiducia di
settori più avanzati della classe operaia, dei lavoratori, delle masse
popolari, tutti coloro che da anni si impegnano nel costruire fronti di lotta,
tutti coloro che conducono generosamente e con onestà lotte rivendicative o di
resistenza, tutti coloro che non hanno rinnegato la storia del movimento
comunista e le sue prospettive. Lo facciamo convinti che è inutile rivendicare
oltre ai vertici della Repubblica Pontificia, che non possono né vogliono dare
oltre alle masse popolari. Lo facciamo convinti che sia tempo di assumersi
responsabilità politica diretta, imparando ad essere dirigenti del processo di
costruzione di un governo di emergenza che sia punto di riferimento per il
movimento delle masse popolari che cresce, si organizza, si coordina, si
articola. Questo è il nuovo che sta nascendo e che esige di nascere
completamente. Questo è quello che faremo. Questo è quello che invitiamo a
fare. Anche in Villa Medusa.
La Segreteria
Federale Campania
Partito dei CARC
giovedì 26 gennaio 2017
NON CI BASTA DARE BATTAGLIA.PASSARE DALLA DIFESA ALL’ATTACCO SIGNIFICA OSARE VINCERE.
Allora guardiamoci, individualmente, ma soprattutto collettivamente: nel movimento popolare ci sono due concezioni contrastanti che qualificano l’atteggiamento combattivo,
intraprendente, spregiudicato e quello, opposto, lamentoso, rassegnato, rabbioso, anche, ma non costruttivo. Chi si limita a dare battaglia, si rivolge principalmente contro. Contro il capitalismo e i capitalisti, contro gli
effetti del capitalismo, contro le ingiustizie e la barbarie. Fanno parte della nostra famiglia, fanno parte del movimento popolare, ma nella loro concezione e nella loro azione sono mossi dal nero dei tempi attuali, dal peggio che
incombe, dal buio del cattivo presente. Chi osa vincere, opera principalmente mosso dalla luminosità del futuro che vogliamo costruire. Al cattivo presente oppone la luminosità del futuro. Alla barbarie attuale oppone l’umanità nuova e la costruisce, qui e ora.
La domanda è retorica: quale dei due campi ha
apparentemente vita più facile? Il primo: si basa su quello che esiste già e su tutto lo schifo che il sistema della borghesia produce e alimenta. Il futuro luminoso che vogliamo costruire è più difficile anche solo da immaginare (tanto che in alcuni casi la volontà dell’ottimista viene scambiata per “fede”). Ma, altra domanda, non retorica stavolta: quale delle due strade ha le prospettive per marciare? Noi costruiamo il futuro luminoso iniziando a trasformare il presente, qui e ora. E’ difficile, si prendono legnate, si subiscono sconfitte in battaglia, ci si mette alla prova e ci si trasforma… questo è osare.
Ci interessa vincere. C’è chi ha passato una vita a lottare (o meglio: è conosciuto per aver passato una vita a lottare, anche se poi magari ha messo i remi in barca… e il riflusso degli anni Settanta ha prodotto un discreto numero di “esperti del movimento” che oggi sono buoni per i racconti al focolare) e oggi è convinto che vincere è impossibile. C’è chi ha iniziato da poco (per età anagrafica o perché spinto
dagli effetti della crisi), ma del bagaglio di rassegnazione, vittimismo, sfiducia seminati dalla sinistra borghese è già in certo qual modo schiacciato.
Nel campo della generica “sinistra” i sentimenti di disfatta, preoccupazione, inquietudine vanno per la maggiore. Anche fra le frange più radicali.
(Resistenza 9 - 2013)
COSA SONO LE CONCEZIONI E LE POSIZIONI DISFATTISTE E ATTENDISTE? COME E PERCHE’ VANNO COMBATTUTE?
IL NUMERO DI FEBBRAIO DI RESISTENZA, FOGLIO DEL PARTITO DEI CARC, SARA’ PRESTO IN STAMPA. ANTICIPIAMO UN ARTICOLO DOVE ENTRIAMO IN DETTAGLIO SULLA CAMPAGNA DELLA CAROVANA DEL (NUOVO) PCI CONTRO CONCEZIONI E POSIZIONI DISFATTISTE E ATTENDISTE. QUI SEGNALIAMO ANCHE COME GRAMSCI SPIEGA IL SALTO DI QUALITA’ DALL’ATTENDERE LA RIVOLUZIONE AL FARLA.
Da alcuni mesi le organizzazioni della Carovana del
(nuovo)PCI hanno intrapreso una campagna contro le concezioni e le posizioni disfattiste
e attendiste entro il movimento del nostro paese che si definisce
comunista. Nel numero 1/2017 di Resistenza abbiamo spiegato che questa campagna non significa rottura
dell’unità entro questo movimento, ma discussione necessaria su come questo
movimento deve operare per avere successo, per vincere. Quindi è rottura di una
unità statica e formale (stiamo tutti nello stesso recinto) per creare una
unità in movimento verso l’obiettivo, verso la vittoria (usciamo dal recinto e
conquistiamo la prateria).
In ogni attività umana ci sono concezioni e posizioni
divergenti sul da farsi. Che concezioni e posizioni siano divergenti è normale,
e sarebbe strano il contrario, soprattutto se si tratta di fare una cosa nuova,
mai fatta prima, come è la rivoluzione socialista in Italia, ad esempio, e che
riguarda l’azione e il destino di decine di milioni di persone.
Concezioni divergenti sulla rivoluzione socialista in Italia
sono 1) che questa rivoluzione oggi è possibile e 2) che questa rivoluzione
oggi è impossibile. Concezione disfattista è la seconda delle due. Le posizioni
divergenti sulla rivoluzione in generale sono 1) che questa rivoluzione va
fatta, costruita, e 2) che questa rivoluzione arriverà e quindi bisogna
aspettarla. La seconda delle due è la posizione attendista.
Concezioni disfattiste e attendiste ci sono sempre nel
movimento di lotta della classe operaia e delle masse popolari e nella storia
del movimento comunista. Un esempio nella storia politica è quello del Comitato
di Liberazione Nazionale nell’Italia occupata dai nazisti durante l’ultima
Guerra Mondiale, dove la posizione attendista era quella di chi voleva
aspettare che a liberarci arrivassero gli anglo-americani, mentre la posizione
contraria era quella del PCI, che dichiarava la necessità di iniziare la lotta armata
e che la iniziò, senza aspettare che gli attendisti si convincessero (gli
attendisti li seguirono).
Se noi guardiamo la storia dell’umanità nel suo complesso a
partire dal periodo in cui è iniziata la divisione in classi, molti millenni
fa, comprendiamo perché disfattismo e attendismo riguardo alle rivoluzioni sono
una posizione e una concezione radicate in profondità.
Nelle società divise in classi, le classi oppresse sono
spinte a considerare l’oppressione una cosa eterna, perché “è sempre stato così”,
“sempre ci saranno i poveri e i ricchi”, o una cosa giusta, perché “chi comanda
merita di farlo per l’intelligenza o il coraggio che lo distinguono da tutti
gli altri”, o una cosa insuperabile, “perché nonostante tutte le rivoluzioni
della storia alla fine chi ha vinto non ha liberato dall’oppressione, ma è
diventato un nuovo oppressore”. Le classi oppresse sono spinte a questo tipo di
ragionamenti dalla classe che li opprime, che ha ogni interesse a continuare a
opprimerle, e quindi coltiva disfattismo con ogni arma, con religioni, con
filosofie, con arti di vario genere.
Il fatto che gli oppressori dedichino tante energie a
seminare disfattismo, è segno che temono la loro fine, che temono le
rivoluzioni, perché le rivoluzioni non solo sono possibili, ma sono necessarie.
Nella società si sviluppano contraddizioni che inducono una serie di mutamenti
quantitativi e che impongono salti di qualità, come, ad esempio, i mutamenti
della temperatura dell’acqua, solida quando è 1 o 2 gradi sotto lo zero, liquida
quando è 1 o 2 gradi sopra lo zero.
Il mutamento della temperatura dell’acqua però è un esempio
che inganna. Da un secolo e mezzo a questa parte si è estesa e radicata in
tutto il mondo l’idea che la rivoluzione è necessaria, che sarà una rivoluzione
definitiva nel senso che abolirà la divisione in classi, che sarà una
rivoluzione socialista, dove si produrrà per il benessere collettivo e non per
il profitto individuale, ma questa idea nuova è rimasta ancorata a una
concezione vecchia, quella della rivoluzione come qualcosa che scoppia quando
ci sono determinate condizioni, come acqua che ribolle quando la temperatura
supera i 100 gradi. Questo succede anche oggi: quelli che desiderano la
rivoluzione sono sempre di più, ma massima parte di costoro si aspetta che la
rivoluzione accada. In un paese imperialista come il nostro la classe operaia e
le masse popolari hanno conquistato cultura e tempo libero in misura
incomparabilmente superiore rispetto alle condizioni della classe operaia e
delle masse popolari in Russia prima della Grande Rivoluzione d’Ottobre del
1917, ad esempio, ma tutta questa scienza e cultura e tempo non lo usano ancora
per costruire la rivoluzione. Gran parte di loro sono impegnati in mille
attività, nelle relazioni di parentela o di amicizia, o in attività culturali o
sportive o di solidarietà o anche in attività sindacali o politiche relative a
determinati settori, ma, quanto alla rivoluzione socialista, che è sintesi
della realizzazione dei mille interessi e aspirazioni che crescono tra le masse
popolari, aspettano che accada. Perché?
Se ognuna delle attività che mille persone fanno fosse un
mattone, nessuna di quelle mille persone aspetterebbe che quei mille mattoni si
unissero insieme, spontaneamente, diventando un muro. Se invece queste
ipotetiche mille persone pensano che questo debba accadere per la rivoluzione
che attendono, non è perché sono stupide, ma perché pensano che questa
rivoluzione non è cosa che si costruisce, ma che avviene, che scoppia come
fosse un evento naturale, come acqua che il fuoco fa ribollire, come rabbia che
una miseria crescente suscita.
Gramsci, quando era in carcere, disse che questo era un modo
di pensare vecchio: mentre un tempo le masse popolari credevano in Dio e si
aspettavano che la sua provvidenza venisse in loro soccorso, così all’inizio
nel movimento comunista c’è chi ha coltivato l’idea che “la storia ci darà
ragione” e che quel giorno vinceremo. Questo serve, dice Gramsci, a superare i
tempi più bui dell’oppressione e della dittatura della borghesia, soprattutto
quando abbiamo subito sconfitte pesanti, ma oggi non serve più quando, dice,
chi è subalterno diventa protagonista, quando “sente di essere responsabile
perché non più resistente, ma agente e necessariamente attivo e intraprendente”[1],
quando, cioè, diventa costruttore della rivoluzione e non la aspetta più
passivamente.
Questo salto, questo passaggio dei subalterni dall’essere
passivi all’essere attivi, non avviene però meccanicamente, naturalmente,
spontaneamente. È un fatto sociale, umano, e quindi richiede che tra i
subalterni si estendano progressivamente le condizioni di coscienza e di
volontà necessarie allo scopo.
Oggi questo passaggio riguarda gli operai, i lavoratori e
gli elementi avanzati delle masse popolari del nostro paese, impegnati nelle
mille lotte di resistenza a fronte della crisi che procede e dell’attacco della
borghesia che sempre più si manifesta come guerra, una guerra di sterminio non
dichiarata. Per questo passaggio è importante che quegli operai, quei lavoratori,
quegli elementi avanzati comprendano il legame di quella loro lotta con la
lotta generale per la trasformazione rivoluzionaria della società, che quella
lotta sia quindi per loro una scuola di comunismo, e che la rivoluzione
socialista, grande passo verso il comunismo, è possibile, e anzi è in corso.
Non credere alla possibilità della rivoluzione socialista influisce
negativamente anche in quella delle loro lotte che è la più generosa e la più
estesa. Per questo motivo la Carovana del (nuovo)PCI combatte con
determinazione e fino in fondo l’idea che la rivoluzione socialista è
impossibile e chi di questa idea fa bandiera, così come Rete dei Comunisti e PC
di Rizzo, e non solo. Combatte con determinazione e fino in fondo il
disfattismo e l’attendismo, concezione e posizione che tra le masse popolari
sono un modo di restare ancorati al passato, tirati giù da un passato che sta
sprofondando e critica senza mezzi termini chi invece di eliminare questa
concezione e questa posizione la riproduce tentando di darle la dignità di
linea politica e filosofica e così facendo contribuisce a diffondere sfiducia,
pessimismo e passività.
Chi oggi mantiene fiducia di settori della classe operaia,
dei lavoratori, delle masse popolari perché in questi anni e decenni è rimasto presso
a loro nei fronti di lotta, perché ha condotto le lotte rivendicative con
onestà, perché non ha rinnegato la storia del movimento comunista, perché vuole
si realizzi quanto la democrazia borghese ha promesso, infonda a chi lo segue
fiducia in cambio. Smetta di attendere soluzioni dai vertici della Repubblica
Pontificia, di rivendicare a loro quello che non possono ne vogliono dare e si
assuma responsabilità politica. Smetta di fare opposizione in eterno, di fare
solo resistenza, di fare come il subalterno di Gramsci, e si ponga come
dirigente, come responsabile, come componente di un governo di emergenza che
sia punto di riferimento per il movimento delle masse popolari che cresce, si
organizza, si coordina, si articola. Questo è il nuovo sta nascendo e che esige
di nascere completamente.
[1] Quaderni del carcere a cura di Valentino
Gerratana, Einaudi, 2001 (prima ed. 1975), Torino, p. 1388.
Iscriviti a:
Post (Atom)