"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

mercoledì 8 ottobre 2014

NOI SIAMO GRAMSCI.

Quest'anno revisionisti moderni ed esponenti della sinistra borghese si sono in gran numero combinati nella celebrazione prima del 30° anniversario della morte (11 giugno 1984) di Enrico Berlinguer che era stato di fatto alla testa del PCI dal 1969 quando divenne vice di Luigi Longo, poi del 50° anniversario della morte di Palmiro Togliatti (21 agosto 1964) che aveva diretto il PCI a partire dal suo rientro in Italia nel 1944. Con accenti diversi e da angolature diverse hanno raccontato quanto l'uno e l'altro siano stati grandi personaggi, ne hanno celebrato l'opera e ne hanno cantato le lodi.
Una cosa che li ha accomunati è che, pur parlando dei dirigenti supremi del partito che per decenni ha diretto le masse popolari del nostro paese, non si sono sentiti in dovere di valutare l'opera dei due "grandi personaggi" dalle sorti del Partito che essi hanno diretto e delle masse popolari di cui quel partito nel bene e nel male è stato alla testa. Insomma la negazione assoluta, per molti certamente addirittura l'ignoranza del criterio proprio del materialismo dialettico: per valutare l'opera di un uomo, bisogna basarsi anzitutto sui risultati della sua attività. Non bisogna basarsi su sentimenti e su pregiudizi né sugli aspetti secondari della sua vita e della sua personalità. Questa è la prassi della cultura clericale e della cultura borghese, non quella
dei comunisti.
Ogni individuo ha mille aspetti e la sua vita si compone di molte azioni e momenti. Ma quando valutiamo il ruolo che l'individuo ha avuto nella società in cui è vissuto, dobbiamo considerare la sua attività principale, quello che egli ha dato e ha lasciato. Questo criterio vale nel valutare l'attività di ogni uomo. Ogni uomo vive nelle sue opere.
Tanto più se si tratta di persone che per un motivo o l'altro hanno avuto un ruolo importante nella vita del loro tempo. Per valutare, per Togliatti o per Berlinguer, il valore della direzione che essi hanno dato al PCI, noi comunisti ci basiamo sui risultati oggettivi della pratica sociale. Vale per la loro opera di direzione,
quello che vale per una teoria. "Per valutare la verità di una conoscenza o di una teoria, l'uomo non si deve basare sui propri sentimenti personali e soggettivi, ma sui risultati della pratica sociale. Il criterio della verità può essere soltanto la pratica sociale. Il punto di vista della pratica è il punto di vista primo e fondamentale della teoria dialettico-materialista della conoscenza (MaoTse-tung, _Sulla pratica [7]_, luglio 1937, _Opere di Mao Tse-tung_, ed. Rapporti Sociali, vol. 5). Togliatti e Berlinguer vivono oggi nello sfacelo che con la loro direzione del PCI hanno prodotto nel movimento comunista e nella condizione delle classi popolari del nostro paese. Questo è quello che resta di loro. Quali classi sono loro grate per questa opera?
C'è tuttavia un lato positivo nelle celebrazioni dell'opera di Togliatti e di Berlinguer fatte da revisionisti  moderni e da esponenti della sinistra borghese: con queste celebrazioni campate in aria del passato
essi riconoscono implicitamente che il presente è peggio del passato. In questo sta il loro legame di sentimenti con la realtà pratica delle masse popolari del nostro paese. Che il triste presente sia il risultato della storia che abbiamo alle spalle, quindi anche dell'opera dei personaggi che essi celebrano, è una verità che supera quello che la loro posizione di classe gli permette di capire, la loro capacità di comprensione.

Ogni uomo è quello che fa e quello che di lui esiste e opera. Proprio per questo diciamo che Gramsci vive. È grazie alla lotta che stiamo conducendo e solo grazie ad essa che noi affermiamo che Gramsci è vivo. Perché noi siamo Gramsci. Perché egli vive nella nostra opera. Nella sua opera e nei suoi scritti noi troviamo ispirazione e alimento per l'opera che stiamo oggi compiendo. 

[da (n)PCI, Avviso ai naviganti 46 del 24 agosto 2014 - http://www.nuovopci.it/dfa/avvnav46/avvnav46.html]

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