"[...] nel periodo romantico della lotta, dello Sturm und Drang popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di Stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e decisive. [...] Si può così porre la lotta per una cultura superiore autonoma; la parte positiva della lotta che si manifesta in forma negativa e polemica con gli a‑ privativi e gli anti‑ (anticlericalismo, ateismo, ecc.). Si dà una forma moderna e attuale all’umanesimo laico tradizionale che deve essere la base etica del nuovo tipo di Stato." (Antonio Gramsci, Q 11, nota 70)

domenica 19 febbraio 2017

17 FEBBRAIO 1977: LA CACCIATA DI LAMA DALLA SAPIENZA

Il 17 febbraio è stato il quarantesimo anniversario della famosa “Cacciata di Lama” (1977) dall’Università “La Sapienza” di Roma. Gli studenti che occupavano in quel periodo l’Università l’ateneo contestarono duramente Luciano Lama, allora segretario generale della CGIL e autorevole membro del PCI, impedendogli di tenere un comizio sindacale.
Il tentativo del PCI di normalizzare l’occupazione fino a farla cessare era palese. Gli studenti, dunque, cercarono di trasformare quel comizio sindacale in un’assemblea in cui mandare in scena lo scontro politico tra il movimento e il PCI, che in quel momento partecipava di fatto al governo DC retto dal mafioso Andreotti (tramite l’ipocrita scelta dell’astensione, chiamata “non sfiducia” con un linguaggio tipico della Repubblica Pontificia e della doppia morale in essa vigente) con il compito di far accettare alla classe operaia la “politica dei sacrifici” imposta dai padroni per tenere su i loro profitti nel periodo iniziale della seconda crisi generale del capitalismo.
Alle provocazioni del PCI e della CGIL, che avevano schierato tutto il loro servizio d’ordine, gli studenti risposero con lo scontro e riuscirono ad impedire il comizio. 
Siamo alla fine degli anni ’70. In quel periodo la lotta contro i revisionisti moderni che dirigevano il PCI giunse al suo culmine e le mille lotte rivendicative della classe operaia e delle masse popolari trovarono un loro centro autorevole nel diffuso movimento di lotta armata rappresentato dalle Brigate Rosse.
L’Italia, per la terza volta nella sua storia (dopo il Biennio Rosso 1919 – ’21 e la Resistenza) arrivò ad una situazione di guerra civile, di scontro tra vecchio e nuovo potere e vide concretizzarsi la possibilità di diventare un nuovo paese socialista.
Le Brigate Rosse ruppero con la concezione della rivoluzione socialista che aveva dominato fino ad allora nei paesi imperialisti e cominciarono a fare i conti con i limiti e gli errori che avevano impedito ai partiti comunisti dei paesi imperialisti di condurre vittoriosamente la rivoluzione. Per questo oggi la loro esperienza, l’esperienza degli anni ’70, rappresenta una preziosa fonte di insegnamenti sintetizzati in testi quali testi quali Cristoforo Colombo, Martin Lutero e Il proletariato non si è pentito. Di questi insegnamenti la Carovana del (n)PCI, e il Partito dei CARC che ne è parte, si sono serviti e si servono per il loro rafforzamento e consolidamento.
Il loro tentativo fu sconfitto principalmente per due ragioni:
1. La concezione del mondo che guidava le Brigate Rosse non era materialista dialettica ma derivata dalla Scuola di Francoforte e dalla concezione borghese di sinistra;
2. Le Brigate Rosse, in conseguenza delle loro concezione del mondo, si lasciarono trascinare nella loro deriva militarista dalle varie organizzazioni e correnti ispirate alla scuola di Francoforte e, non a caso, particolarmente  numerose e influenti in quegli anni (tra cui l’Autonomia Operaia che nell’occupazione de “La Sapienza” era egemone).
Gli errori ed i limiti degli anni ’70 forniscono occasione, specie in occasioni come questa, a intellettuali della sinistra borghese per denigrare quell’esperienza.
È il caso di Guido Liguori, che nel ’77 faceva parte del movimento (in particolare della sua “ala creativa”, come si chiamava allora) e che oggi ricorda quella giornata con un lungo post apparso sulla sua pagina Facebook, che allego qui di seguito. Un post in cui individua nel PCI e nella CGIL (che pure erano da lui considerati in quegli anni troppo moderati) i veri e unici rappresentanti dei lavoratori e li contrappone agli avventuristi e agli estremisti del movimento che di lì a poco avrebbero ingrossato le fila della lotta armata.[1]
Non vede Liguori il percorso, il lungo filo rosso che da Togliatti e dal PCI revisionista ha portato a Napolitano e al PD di Renzi, dalla svolta dell’EUR al modello Marchionne e alla demolizione del Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori.
Guido Liguori a partire da quegli anni segue un percorso che gli ha dato, tra le altre cose, ruoli dirigenti nella International Gramsci Society. Di lui tratta il (nuovo)PCI in un suo Avviso ai Naviganti del 2014, citando la sua affermazione che Togliatti e Berlinguer “hanno contribuito a creare, ciascuno nelle propria epoca, quella peculiarità del comunismo italiano che in Gramsci ha le sue radici”[2]. Al riguardo il (nuovo)PCI scrive:

Ora è un dato di fatto che la direzione di Togliatti e di Berlinguer hanno portato alla dissoluzione delle forze che il PCI aveva raccolto con l’eroica resistenza al fascismo durante il ventennio (1922-1943) e con la guerra condotta contro il nazifascismo nel 1943-1945 (la Resistenza), cioè nel periodo in cui aveva operato come sezione dell’Internazionale Comunista (1919-1943) e sotto l’impulso della Rivoluzione d’Ottobre e dell’Unione Sovietica diretta (1924-1953) da Stalin. Se la direzione di Togliatti e di Berlinguer avessero effettivamente le loro radici nel pensiero di Gramsci, il risultato porrebbe per lo meno in dubbio il carattere scientifico del pensiero di Gramsci.
Quelli che, come il prof. Guido Liguori, esaltano il pensiero di Gramsci che si pretende scientifico, e contemporaneamente dicono che su di esso si sono basati Togliatti e Berlinguer che hanno portato il movimento comunista italiano alla dissoluzione e il nostro paese al marasma attuale, dovrebbero almeno spiegare come si concilia il preteso carattere scientifico del pensiero di Gramsci con l’esito rovinoso della direzione di Togliatti e di Berlinguer.[3]

Effettivamente Liguori non considera scientifico il pensiero di Gramsci. In uno scambio epistolare nel settembre del 2014 con Paolo Babini, di questa Commissione Gramsci del P.CARC, scrive:
“Gramsci non considerava il marxismo una “scienza”. Bensì una filosofia (della praxis)-ideologia-politica, cioè quasi tutto meno che una scienza… Il suo marxismo è totalmente ascientifico, mi pare. Non pretendo ovviamente di avere la verità in tasca. però ti dico sinceramente che non troverai molti studiosi di Gramsci che affermano il contrario. Io addirittura non ne conosco nessuno…”
Cosa è la scienza?
Cosa distingue la scienza da altre forme della vita spirituale degli uomini? Per non fare della questione “è scienza o non è scienza”, “è scientifica o non è scientifica” una questione nominalistica, bisogna fissare chiaramente cosa distingue la scienza dalla narrazione, dalla poesia, dalla speculazione, ecc. In altre parole, perché distinguiamo un assieme di attività spirituali da altre (e quindi gli diamo un nome suo proprio)?
Noi diciamo che la concezione comunista del mondo è una scienza nel senso che chi l’ha elaborata e oggi la elabora pretende di ricostruire nella mente umana la natura degli elementi di cui si compone il mondo con cui gli uomini si confrontano e le relazioni che vi sono tra di essi e quindi di indicare come gli uomini stessi devono agire per trasformare il mondo.
Presupposto: sono gli uomini che fanno la loro storia e le attività con cui gli uomini che fanno la loro storia sono conoscibili e la loro conoscenza permette agli uomini di fare la loro storia consapevolmente.
Quindi la concezione comunista del mondo 1. è sperimentale (cerca, scompone il dato dell’esperienza in parti e le ricompone a formare un “concreto di pensiero”) e 2. ha la sua verifica nella pratica. Il mondo di cui in particolare si occupa la concezione comunista del mondo è la società e la società borghese in particolare. Altre scienze di occupano di altri oggetti, di altri campi. Per questo Engels dice che i marxisti non pretendono (non cercano) di costruire particolari scienze marxiste negli altri campi ma si avvalgono semplicemente di quello che i rispettivi cultori scoprono ed elaborano. Sostengono che i rispettivi cultori si avvantaggerebbero molto nel loro lavoro se si avvalessero del materialismo dialettico, liberandosi dalla gabbia della metafisica e dalle strettoie della logica formale.
Liguori in particolare rifiuta il materialismo storico e al modo di Croce & seguaci ritiene che l’attività politica degli uomini sia dettata da valori spirituali ed etici (sostituiscono il dio personale delle religioni) o dalla volontà arbitraria ma geniale dei grandi uomini È la concezione etico-politica della storia di cui parla Gramsci (Q. 10(I) §7 e segg.) Noi marxisti diciamo che in una società le sue relazioni politiche sono espressione concentrata delle sue relazioni economiche. L’attuale crescente immersione degli Stati e dei popoli nella guerra e la guerra di sterminio non dichiarata appartengono alle relazioni politiche e sono espressione della necessità del capitale di crescere a spese delle masse popolari e di altri capitali (cose che appartengono alle relazioni economiche). La concezione comunista del mondo è anche scienza delle relazioni politiche.
Con questa scienza, e con la riforma intellettuale e morale che essa include, quella di cui parla l’Avviso ai Naviganti sopra citato e quella di cui Gramsci parla nei suoi Quaderni, i comunisti diventano capaci di guidare le masse popolari a costruire la rivoluzione nel nostro Paese, assolvendo al compito indicato da Gramsci nelle Tesi di Lione (1926). Per farlo è essenziale imparare dall’esperienza degli anni ’70 che  è ricca di insegnamenti con cui fecondare il nuovo che è già nato e sta avanzando.

Ciro Imperato
Commissione Gramsci del Partito dei CARC  
   
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17 febbraio 1977, IO LO RICORDO COSÌ. Università di Roma: io c'ero. Studente iscritto a filosofia, allora senza partito, cane sciolto: uscito da diversi mesi dal Pdup per il comunismo (per la farsa dell'unificazione incrociata tra minoranze e maggioranze del Pdup e di Avanguardia operaia), ben lungi dall'entrare nel Pci (mi sarei iscritto solo dopo la sconfitta del 1979, dopo la fine della solidarietà nazionale. La prima tessera sarà del 1980). Università occupata da inizio febbraio, dopo un raid dei fascisti e gli scontri con la polizia il giorno dopo. Compaiono le prime pistole nel movimento. Agitazione generalizzata. I "gruppi" della sinistra a sinistra del Pci in forte crisi, in dissolvenza. Il Pci in grande difficoltà, per l'infausto appoggio (sia pure esterno) al governo Andreotti. Crisi economica, disoccupazione, molta eroina ovunque. Alla Sapienza il movimento ha molte facce. La più simpatica e creativa è quella degli Indiani metropolitani. Ma non comandano loro. Forse non comanda nessuno, ma Autonomia è sempre più presente, egemone. Contrariamente alle apparenze è la componente più organizzata, una vera esemplificazione del funzionamento della democrazia… secondo Gaetano Mosca: una minoranza organizzata si impone a una maggioranza necessariamente disorganizzata. Oppure, per dirla con Gramsci, è egemone. Egemonia: forza più consenso. A volte usano l'uno, a volte l'altra. Le minacce sono all'ordine del giorno, verso gli stessi elementi del movimento non graditi: non solo gli ultimi militanti dei "gruppi": anche Beccofino, il capo degli Indiani metropolitani, sarà ben presto picchiato e costretto a nascondersi: la sua "sensibilita" non era gradita all'Autonomia. Leggo Rosso, cerco di capire. Non mi convince. Mi sembra Rozzo, più che Rosso. Vuole essere Rozzo, probabilmente. Per conquistare le menti. Prevale, nel senso comune, una filosofia dell'immediatezza. Del qui e ora. Del dionisiaco, anche (Nietzsche è il filosofo più di moda). Della festa. Del no future. È divertente, non si può negarlo. Le due settimane di occupazione e agitazione sono divertenti. Più sballo che politica, più musica che dibattiti. Ma questi ultimi non mancano, sia chiaro. E poi, c'è chi pensa e decide per noi: Autonomia. Gente col cervello. Ma a livello di massa vince altro: l'immediatezza. La mediazione per il momento ha perso. L'università occupata diviene polo di attrazione per tutto il vasto mondo allora a sinistra del Pci. Sconfitto nelle elezioni del 20 giugno precedente (2 i vincitori, Dc e PC, il che determina l'impasse politico, al di sotto delle aspettative Democrazia proletaria, il cartello di Pdup, Avanguardia operaia, Lotta continua ecc.) il mondo a sinistra del Pci cerca confusamente non tanto una rivincita, ma più semplicemente il modo di sentirsi vivo. Il 77 è l'ultimo grido di una storia che sta finendo.
Anche i lavoratori dell'Università sono in lotta, indicono un'assemblea con Gian Mario Cazzaniga, filosofo marxista, professore di Pisa, già operaista, da poco nel Pci, attivo nella Cgil Università. All'Assemblea andiamo anche noi studenti del collettivi, non invitati. Non credevo che l'intento fosse di impedirla, solo perché indetta dal sindacato Cgil. È invece quanto avviene, al grido ritmato di "la parola agli studenti". La parola agli studenti? Non riesco a credere alle mie orecchie. Ma sono anni che gridiamo: il potere a chi lavora! E ora siamo lì a togliere la parola al sindacato dei lavoratori? Siamo tornati al protagonismo studentesco? Non mi piace, ma ancora non è nulla. 
Pochi giorni dopo arriva Luciano Lama a fare un comizio sindacale (i lavoratori dell'Università sono sempre in lotta). È anche un tentativo di ritorno della presenza politica del Pci, ovvio. Con una grande assemblea il giorno prima il movimento decide altrettanto ovviamente di contestare. Si decide una protesta pacifica: presenza in piazza, fischi e slogan. Perché Lama rappresenta un PCI e un sindacato moderati, troppo davvero, allora.
Davanti alla statua della Minerva il 17 febbraio si radunano migliaia di persone. Un camion è stato messo tra il Rettorato e Giurisprudenza, a mo' di palco, su di esso Lama inizia a parlare. Slogan, i nostri soliti, del movimento e dei collettivi. Gli Indiani metropolitani lanciano slogan ironici, passati alla storia, simpatici, non violenti. Quelli della Cgil sono pochi, molti del servizio d'ordine sono semplici studenti, li vedo davanti a me, ragazze e ragazzi come noi, compagni di corso, più pacifici di noi, direi. Non c'è molta tensione all'inizio. Poi il clima cambia. Piccoli gruppi intorno a me si preparano visibilmente allo scontro duro. Spuntano fuori sassi, spranghe, fazzoletti. Iniziano a tirare sassi. E a spingere. Noi dei collettivi di facoltà cerchiamo di farli smettere. Niente, è tutto già deciso. L'assemblea del giorno prima ignorata. L'Autonomia ha deciso altro, per conto suo. Lo scontro è inevitabile. Parte la carica degli Autonomi. Chi assiste al comizio o è scappato per le pietre o scappa ora, Lama viene portato via di corsa. Molti dei collettivi si ribellano, altri partecipano contenti: cacciamo Lama, siamo vivi, esistiamo ancora, noi della "sinistra di classe" che tira le pietre contro uno dei rappresentanti (purtroppo) più amato dalla classe (anche questo va detto: il moderato Lama godeva di una popolarità vastissima, tra i lavoratori. Meno nel Pci, anche se ovviamente il suo partito non poteva accettare che fosse preso a sassate). Lama e il Pci sono così espulsi dalla Sapienza, dove si erano presentati abbastanza in disarmo, fiduciosi, impreparati. Un esito deciso da pochi – la cacciata – che coinvolge tutti. Molti si improvvisano padri di quella "vittoria" (madri molto meno: la forte critica femminista al movimento e ad Autonomia è già iniziata). Dopo poche decine di minuti siamo dentro, noi del movimento, quelli del Pci fuori l'ateneo, accorsi numerosi alla notizia di quanto successo, minacciosi davanti all'entrata di piazza Aldo Moro (che allora non si chiamava così). Ora i lavoratori sono tanti, ci guardano minacciosi, contro gli studenti e l'Autonomia. Da quel momento è per molti mesi il Pci non saprà più distinguere, dentro il movimento. Fino a settembre, a Bologna, credo. Noi né Autonomia né PCI quel 17 febbraio siamo in mezzo, coscienza infelice di un passo falso, di un passo sbagliato: studenti contro sindacato, Autonomia contro Pci. Un assurdo. Dentro la Sapienza, asserragliata, vi è una generazione? Non scherziamo. È sempre, dall'una e dall'altra parte, scontro tra minoranze, anche se allora non poco numerose. Dentro la Sapienza vi è l'Autonomia e le vaste parti di movimento che egemonizza ed egemonizzerà a lungo, anche sulla base di quella "vittoria" del 17 febbraio, in un crescendo di violenza e vuoto politico-strategico. Si ingrosserà il partito armato, il terrorismo di sinistra, e anche Autonomia sarà sconfitta. Arriverà il rapimento Moro. 
Parteciperò ancora nei mesi seguenti al movimento, tra collettivi di autoformazione, pistolettate, massiccia presenza della polizia, cortei e devastazioni varie. Sempre più coscienza infelice. In fondo, quel 17 febbraio 1977 era iniziato il mio lungo (e molto graduale) processo di avvicinamento al Pci, anche se ci avrei messo anni (importante in tal senso il convegno internazionale su Gramsci, dicembre 77 a Firenze). Finiti in brutto modo gli anni 70, tra Brigate rozze e crescente militarizzazione della società, avrei incontrato il nuovo Pci del "secondo Berlinguer": alternativa alla Dc, critica allo Stato (insieme a Pertini), con gli operai della Fiat, con Guido Rossa (l'omicidio di questo operaio del Pci fu la vera sconfitta del terrorismo: la classe non perdona), con il movimento della pace, con il movimento delle donne. Comunismo è democrazia.



[1] Si allinea, in questo suo giudizio, alle prese di posizione odierne che cercano di denigrare le proteste degli studenti a Bologna partire dall’intento delle autorità accademiche di bloccare l’accesso alle biblioteche a chi  non ha la tessera universitaria, intento già attuato in altre città (a Firenze, ad esempio, dove da tempo prima dei tornelli per entrare in biblioteca si è pensato a costruire inferriate, come a Lettere e Filosofia). Al riguardo ci sono stati più articoli del manifesto che si sono accaniti nel descrivere queste proteste come quelle di minoranze violente e semi emarginate.
[2] il manifesto 26 luglio 2014 pag. 11.

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