Il 17 febbraio è stato il quarantesimo
anniversario della famosa “Cacciata di Lama” (1977) dall’Università “La
Sapienza” di Roma. Gli studenti che occupavano in quel periodo l’Università l’ateneo
contestarono duramente Luciano Lama, allora segretario generale della CGIL e
autorevole membro del PCI, impedendogli di tenere un comizio sindacale.
Il tentativo del PCI di normalizzare
l’occupazione fino a farla cessare era palese. Gli studenti, dunque, cercarono
di trasformare quel comizio sindacale in un’assemblea in cui mandare in scena
lo scontro politico tra il movimento e il PCI, che in quel momento partecipava
di fatto al governo DC retto dal mafioso Andreotti (tramite l’ipocrita scelta
dell’astensione, chiamata “non sfiducia” con un linguaggio tipico della
Repubblica Pontificia e della doppia morale in essa vigente) con il compito di
far accettare alla classe operaia la “politica dei sacrifici” imposta dai
padroni per tenere su i loro profitti nel periodo iniziale della seconda crisi
generale del capitalismo.
Alle provocazioni del PCI e della CGIL,
che avevano schierato tutto il loro servizio d’ordine, gli studenti risposero
con lo scontro e riuscirono ad impedire il comizio.
Siamo alla fine degli anni ’70. In quel
periodo la lotta contro i revisionisti moderni che dirigevano il PCI giunse al
suo culmine e le mille lotte rivendicative della classe operaia e delle masse
popolari trovarono un loro centro autorevole nel diffuso movimento di lotta
armata rappresentato dalle Brigate Rosse.
L’Italia, per la terza volta nella sua
storia (dopo il Biennio Rosso 1919 – ’21 e la Resistenza) arrivò ad una situazione
di guerra civile, di scontro tra vecchio e nuovo potere e vide concretizzarsi
la possibilità di diventare un nuovo paese socialista.
Le Brigate Rosse ruppero con la
concezione della rivoluzione socialista che aveva dominato fino ad allora nei
paesi imperialisti e cominciarono a fare i conti con i limiti e gli errori che
avevano impedito ai partiti comunisti dei paesi imperialisti di condurre
vittoriosamente la rivoluzione. Per questo oggi la loro esperienza,
l’esperienza degli anni ’70, rappresenta una preziosa fonte di insegnamenti sintetizzati
in testi quali testi quali Cristoforo Colombo, Martin Lutero e
Il proletariato non si è pentito. Di questi insegnamenti la Carovana del
(n)PCI, e il Partito dei CARC che ne è parte, si sono serviti e si servono per
il loro rafforzamento e consolidamento.
Il loro tentativo fu sconfitto
principalmente per due ragioni:
1. La concezione del mondo che guidava
le Brigate Rosse non era materialista dialettica ma derivata dalla Scuola di
Francoforte e dalla concezione borghese di sinistra;
2. Le Brigate Rosse, in conseguenza
delle loro concezione del mondo, si lasciarono trascinare nella loro deriva
militarista dalle varie organizzazioni e correnti ispirate alla scuola di
Francoforte e, non a caso, particolarmente
numerose e influenti in quegli anni (tra cui l’Autonomia Operaia che
nell’occupazione de “La Sapienza” era egemone).
Gli errori ed i limiti degli anni ’70
forniscono occasione, specie in occasioni come questa, a intellettuali della
sinistra borghese per denigrare quell’esperienza.
È il caso di Guido Liguori, che nel ’77
faceva parte del movimento (in particolare della sua “ala creativa”, come si
chiamava allora) e che oggi ricorda quella giornata con un lungo post apparso
sulla sua pagina Facebook, che allego qui di seguito. Un post in cui individua
nel PCI e nella CGIL (che pure erano da lui considerati in quegli anni troppo
moderati) i veri e unici rappresentanti dei lavoratori e li contrappone agli
avventuristi e agli estremisti del movimento che di lì a poco avrebbero ingrossato
le fila della lotta armata.[1]
Non vede Liguori il percorso, il lungo
filo rosso che da Togliatti e dal PCI revisionista ha portato a Napolitano e al
PD di Renzi, dalla svolta dell’EUR al modello Marchionne e alla demolizione del
Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori.
Guido Liguori a partire da quegli anni segue
un percorso che gli ha dato, tra le altre cose, ruoli dirigenti nella
International Gramsci Society. Di lui tratta il (nuovo)PCI in un suo Avviso ai
Naviganti del 2014, citando la sua affermazione che Togliatti e
Berlinguer “hanno contribuito a creare, ciascuno nelle propria epoca, quella
peculiarità del comunismo italiano che in Gramsci ha le sue radici”[2].
Al riguardo il (nuovo)PCI scrive:
Ora è un dato di fatto che la direzione di Togliatti e
di Berlinguer hanno portato alla dissoluzione delle forze che il PCI aveva
raccolto con l’eroica resistenza al fascismo durante il ventennio (1922-1943) e
con la guerra condotta contro il nazifascismo nel 1943-1945 (la Resistenza),
cioè nel periodo in cui aveva operato come sezione dell’Internazionale
Comunista (1919-1943) e sotto l’impulso della Rivoluzione d’Ottobre e
dell’Unione Sovietica diretta (1924-1953) da Stalin. Se la direzione di
Togliatti e di Berlinguer avessero effettivamente le loro radici nel pensiero
di Gramsci, il risultato porrebbe per lo meno in dubbio il carattere scientifico
del pensiero di Gramsci.
Quelli che, come il prof. Guido Liguori, esaltano il
pensiero di Gramsci che si pretende scientifico, e contemporaneamente dicono
che su di esso si sono basati Togliatti e Berlinguer che hanno portato il
movimento comunista italiano alla dissoluzione e il nostro paese al marasma
attuale, dovrebbero almeno spiegare come si concilia il preteso carattere
scientifico del pensiero di Gramsci con l’esito rovinoso della direzione di
Togliatti e di Berlinguer.[3]
Effettivamente Liguori non considera
scientifico il pensiero di Gramsci. In uno scambio epistolare nel settembre del
2014 con Paolo Babini, di questa Commissione Gramsci del P.CARC, scrive:
“Gramsci non considerava il marxismo una “scienza”.
Bensì una filosofia (della praxis)-ideologia-politica, cioè quasi tutto meno
che una scienza… Il suo marxismo è totalmente ascientifico, mi pare. Non
pretendo ovviamente di avere la verità in tasca. però ti dico sinceramente che
non troverai molti studiosi di Gramsci che affermano il contrario. Io
addirittura non ne conosco nessuno…”
Cosa è la scienza?
Cosa
distingue la scienza da altre forme della vita spirituale degli uomini? Per non
fare della questione “è scienza o non è scienza”, “è scientifica o non è
scientifica” una questione nominalistica, bisogna fissare chiaramente cosa
distingue la scienza dalla narrazione, dalla poesia, dalla speculazione, ecc.
In altre parole, perché distinguiamo un assieme di attività spirituali da altre
(e quindi gli diamo un nome suo proprio)?
Noi
diciamo che la concezione comunista del mondo è una scienza nel senso che chi
l’ha elaborata e oggi la elabora pretende di ricostruire nella mente umana la
natura degli elementi di cui si compone il mondo con cui gli uomini si
confrontano e le relazioni che vi sono tra di essi e quindi di indicare come
gli uomini stessi devono agire per trasformare il mondo.
Presupposto:
sono gli uomini che fanno la loro storia e le attività con cui gli uomini che
fanno la loro storia sono conoscibili e la loro conoscenza permette agli uomini
di fare la loro storia consapevolmente.
Quindi
la concezione comunista del mondo 1. è sperimentale (cerca, scompone il dato
dell’esperienza in parti e le ricompone a formare un “concreto di pensiero”) e
2. ha la sua verifica nella pratica. Il mondo di cui in particolare si occupa
la concezione comunista del mondo è la società e la società borghese in
particolare. Altre scienze di occupano di altri oggetti, di altri campi. Per
questo Engels dice che i marxisti non pretendono (non cercano) di costruire
particolari scienze marxiste negli altri campi ma si avvalgono semplicemente di
quello che i rispettivi cultori scoprono ed elaborano. Sostengono che i
rispettivi cultori si avvantaggerebbero molto nel loro lavoro se si avvalessero
del materialismo dialettico, liberandosi dalla gabbia della metafisica e dalle
strettoie della logica formale.
Liguori
in particolare rifiuta il materialismo storico e al modo di Croce & seguaci
ritiene che l’attività politica degli uomini sia dettata da valori spirituali
ed etici (sostituiscono il dio personale delle religioni) o dalla volontà
arbitraria ma geniale dei grandi uomini È la concezione etico-politica della
storia di cui parla Gramsci (Q. 10(I) §7 e segg.) Noi marxisti diciamo che in
una società le sue relazioni politiche sono espressione concentrata delle sue
relazioni economiche. L’attuale crescente immersione degli Stati e dei popoli
nella guerra e la guerra di sterminio non dichiarata appartengono alle
relazioni politiche e sono espressione della necessità del capitale di crescere
a spese delle masse popolari e di altri capitali (cose che appartengono alle
relazioni economiche). La concezione comunista del mondo è anche scienza delle
relazioni politiche.
Con questa scienza, e con la riforma
intellettuale e morale che essa include, quella di cui parla l’Avviso ai
Naviganti sopra citato e quella di cui Gramsci parla nei suoi Quaderni, i comunisti diventano capaci
di guidare le masse popolari a costruire la rivoluzione nel nostro Paese,
assolvendo al compito indicato da Gramsci nelle Tesi di Lione (1926). Per farlo
è essenziale imparare dall’esperienza degli anni ’70 che è ricca di insegnamenti con cui fecondare il
nuovo che è già nato e sta avanzando.
Ciro Imperato
Commissione Gramsci del Partito dei
CARC
**********
17 febbraio 1977, IO
LO RICORDO COSÌ. Università di Roma: io c'ero. Studente iscritto a filosofia,
allora senza partito, cane sciolto: uscito da diversi mesi dal Pdup per il comunismo (per la farsa dell'unificazione
incrociata tra minoranze e maggioranze del Pdup e di Avanguardia operaia), ben
lungi dall'entrare nel Pci (mi sarei iscritto solo dopo la sconfitta del 1979, dopo
la fine della solidarietà nazionale. La prima tessera sarà del 1980).
Università occupata da inizio febbraio, dopo un raid dei fascisti e gli scontri
con la polizia il giorno dopo. Compaiono le prime pistole nel movimento.
Agitazione generalizzata. I "gruppi" della sinistra a sinistra del
Pci in forte crisi, in dissolvenza. Il Pci in grande difficoltà, per l'infausto
appoggio (sia pure esterno) al governo Andreotti. Crisi economica,
disoccupazione, molta eroina ovunque. Alla Sapienza il movimento ha molte
facce. La più simpatica e creativa è quella degli Indiani metropolitani. Ma non
comandano loro. Forse non comanda nessuno, ma Autonomia è sempre più presente,
egemone. Contrariamente alle apparenze è la componente più organizzata, una
vera esemplificazione del funzionamento della democrazia… secondo Gaetano
Mosca: una minoranza organizzata si impone a una maggioranza necessariamente
disorganizzata. Oppure, per dirla con Gramsci, è egemone. Egemonia: forza più
consenso. A volte usano l'uno, a volte l'altra. Le minacce sono all'ordine del
giorno, verso gli stessi elementi del movimento non graditi: non solo gli
ultimi militanti dei "gruppi": anche Beccofino, il capo degli Indiani
metropolitani, sarà ben presto picchiato e costretto a nascondersi: la sua
"sensibilita" non era gradita all'Autonomia. Leggo Rosso, cerco di
capire. Non mi convince. Mi sembra Rozzo, più che Rosso. Vuole essere Rozzo,
probabilmente. Per conquistare le menti. Prevale, nel senso comune, una
filosofia dell'immediatezza. Del qui e ora. Del dionisiaco, anche (Nietzsche è
il filosofo più di moda). Della festa. Del no future. È divertente, non si può
negarlo. Le due settimane di occupazione e agitazione sono divertenti. Più
sballo che politica, più musica che dibattiti. Ma questi ultimi non mancano,
sia chiaro. E poi, c'è chi pensa e decide per noi: Autonomia. Gente col
cervello. Ma a livello di massa vince altro: l'immediatezza. La mediazione per
il momento ha perso. L'università occupata diviene polo di attrazione per tutto
il vasto mondo allora a sinistra del Pci. Sconfitto nelle elezioni del 20
giugno precedente (2 i vincitori, Dc e PC, il che determina l'impasse politico,
al di sotto delle aspettative Democrazia proletaria, il cartello di Pdup,
Avanguardia operaia, Lotta continua ecc.) il mondo a sinistra del Pci cerca
confusamente non tanto una rivincita, ma più semplicemente il modo di sentirsi
vivo. Il 77 è l'ultimo grido di una storia che sta finendo.
Anche
i lavoratori dell'Università sono in lotta, indicono un'assemblea con Gian
Mario Cazzaniga, filosofo marxista, professore di Pisa, già operaista, da poco
nel Pci, attivo nella Cgil Università. All'Assemblea andiamo anche noi studenti
del collettivi, non invitati. Non credevo che l'intento fosse di impedirla,
solo perché indetta dal sindacato Cgil. È invece quanto avviene, al grido
ritmato di "la parola agli studenti". La parola agli studenti? Non
riesco a credere alle mie orecchie. Ma sono anni che gridiamo: il potere a chi
lavora! E ora siamo lì a togliere la parola al sindacato dei lavoratori? Siamo
tornati al protagonismo studentesco? Non mi piace, ma ancora non è nulla.
Pochi
giorni dopo arriva Luciano Lama a fare un comizio sindacale (i lavoratori
dell'Università sono sempre in lotta). È anche un tentativo di ritorno della
presenza politica del Pci, ovvio. Con una grande assemblea il giorno prima il
movimento decide altrettanto ovviamente di contestare. Si decide una protesta
pacifica: presenza in piazza, fischi e slogan. Perché Lama rappresenta un PCI e
un sindacato moderati, troppo davvero, allora.
Davanti
alla statua della Minerva il 17 febbraio si radunano migliaia di persone. Un
camion è stato messo tra il Rettorato e Giurisprudenza, a mo' di palco, su di
esso Lama inizia a parlare. Slogan, i nostri soliti, del movimento e dei
collettivi. Gli Indiani metropolitani lanciano slogan ironici, passati alla
storia, simpatici, non violenti. Quelli della Cgil sono pochi, molti del
servizio d'ordine sono semplici studenti, li vedo davanti a me, ragazze e
ragazzi come noi, compagni di corso, più pacifici di noi, direi. Non c'è molta
tensione all'inizio. Poi il clima cambia. Piccoli gruppi intorno a me si
preparano visibilmente allo scontro duro. Spuntano fuori sassi, spranghe,
fazzoletti. Iniziano a tirare sassi. E a spingere. Noi dei collettivi di
facoltà cerchiamo di farli smettere. Niente, è tutto già deciso. L'assemblea
del giorno prima ignorata. L'Autonomia ha deciso altro, per conto suo. Lo
scontro è inevitabile. Parte la carica degli Autonomi. Chi assiste al comizio o
è scappato per le pietre o scappa ora, Lama viene portato via di corsa. Molti
dei collettivi si ribellano, altri partecipano contenti: cacciamo Lama, siamo
vivi, esistiamo ancora, noi della "sinistra di classe" che tira le
pietre contro uno dei rappresentanti (purtroppo) più amato dalla classe (anche
questo va detto: il moderato Lama godeva di una popolarità vastissima, tra i
lavoratori. Meno nel Pci, anche se ovviamente il suo partito non poteva accettare
che fosse preso a sassate). Lama e il Pci sono così espulsi dalla Sapienza,
dove si erano presentati abbastanza in disarmo, fiduciosi, impreparati. Un
esito deciso da pochi – la cacciata – che coinvolge tutti. Molti si
improvvisano padri di quella "vittoria" (madri molto meno: la forte
critica femminista al movimento e ad Autonomia è già iniziata). Dopo poche
decine di minuti siamo dentro, noi del movimento, quelli del Pci fuori
l'ateneo, accorsi numerosi alla notizia di quanto successo, minacciosi davanti
all'entrata di piazza Aldo Moro (che allora non si chiamava così). Ora i
lavoratori sono tanti, ci guardano minacciosi, contro gli studenti e
l'Autonomia. Da quel momento è per molti mesi il Pci non saprà più distinguere,
dentro il movimento. Fino a settembre, a Bologna, credo. Noi né Autonomia né
PCI quel 17 febbraio siamo in mezzo, coscienza infelice di un passo falso, di
un passo sbagliato: studenti contro sindacato, Autonomia contro Pci. Un
assurdo. Dentro la Sapienza, asserragliata, vi è una generazione? Non
scherziamo. È sempre, dall'una e dall'altra parte, scontro tra minoranze, anche
se allora non poco numerose. Dentro la Sapienza vi è l'Autonomia e le vaste
parti di movimento che egemonizza ed egemonizzerà a lungo, anche sulla base di
quella "vittoria" del 17 febbraio, in un crescendo di violenza e
vuoto politico-strategico. Si ingrosserà il partito armato, il terrorismo di
sinistra, e anche Autonomia sarà sconfitta. Arriverà il rapimento Moro.
Parteciperò
ancora nei mesi seguenti al movimento, tra collettivi di autoformazione,
pistolettate, massiccia presenza della polizia, cortei e devastazioni varie.
Sempre più coscienza infelice. In fondo, quel 17 febbraio 1977 era iniziato il
mio lungo (e molto graduale) processo di avvicinamento al Pci, anche se ci
avrei messo anni (importante in tal senso il convegno internazionale su
Gramsci, dicembre 77 a Firenze). Finiti in brutto modo gli anni 70, tra Brigate
rozze e crescente militarizzazione della società, avrei incontrato il nuovo Pci
del "secondo Berlinguer": alternativa alla Dc, critica allo Stato
(insieme a Pertini), con gli operai della Fiat, con Guido Rossa (l'omicidio di
questo operaio del Pci fu la vera sconfitta del terrorismo: la classe non
perdona), con il movimento della pace, con il movimento delle donne. Comunismo
è democrazia.
[1] Si allinea, in questo suo giudizio, alle prese di
posizione odierne che cercano di denigrare le proteste degli studenti a Bologna
partire dall’intento delle autorità accademiche di bloccare l’accesso alle
biblioteche a chi non ha la tessera
universitaria, intento già attuato in altre città (a Firenze, ad esempio, dove
da tempo prima dei tornelli per entrare in biblioteca si è pensato a costruire
inferriate, come a Lettere e Filosofia). Al riguardo ci sono stati più articoli
del manifesto che si sono accaniti
nel descrivere queste proteste come quelle di minoranze violente e semi
emarginate.
[2] il manifesto 26 luglio 2014 pag. 11.
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